RICORDO DI LEOPOLDO ELIA
Alessandro Pace
Leopoldo Elia, già presidente dell’AIC nel primo consiglio direttivo della nostra Associazione (1985-1988), ci ha lasciati inaspettatamente nella notte tra il 5 e il 6 ottobre. Anche se noi, a Lui più vicini, eravamo a conoscenza che non era stato possibile estirpare né chirurgicamente né con la radioterapia il male che si era improvvisamente manifestato nello scorso marzo e che Leopoldo si era sottoposto ad una serie di applicazioni chemioterapiche, non ritenevamo affatto imminente la Sua fine. D’altra parte, parlando con Franco Bassanini venerdì 3 ottobre, Leopoldo aveva insistito perché ai primi di novembre si tenesse una riunione di Astrid sulla recente riforma della Costituzione francese e si era addirittura proposto come relatore di quel seminario.
Proprio perché inaspettato, ancor più profondo è quindi il senso di vuoto che è sceso in noi che abbiamo avuto il privilegio di averlo conosciuto e assiduamente frequentato. Con la Sua scomparsa si chiude infatti un ciclo di studiosi e maestri del diritto costituzionale che da Santi Romano, e dai suoi allievi Carlo Esposito e Vezio Crisafulli, giungeva fino a Lui, arricchendosi e differenziandosi quanto a stile, metodo e sensibilità, ma inconfondibile per la dedizione e la serietà nella ricerca e per l’indipendenza di pensiero.
Diversamente da quell’altro grande studioso della stessa scuola che è stato Livio Paladin - laureato a Trieste con Crisafulli, ma che, su suggerimento di Crisafulli, era venuto a Roma come assistente alla cattedra di Esposito -, Elia, laureatosi a Roma in giurisprudenza nel 1947, con una tesi dedicata all’avvento del regime parlamentare in Francia (relatore Vincenzo Gueli), fu culturalmente vicino a Carlo Esposito dopo la chiamata di quest’ultimo nell’Università di Roma nel 1955, ma già prima si era formato alla scuola di Costantino Mortati che aveva conosciuto alla fine degli anni ’40, in una riunione della rivista “Cronache sociali” di Giuseppe Dossetti, a cui Elia collaborò dal 1947 al 1951.
Mentre Mortati - come ricordava lo stessi Elia - Gli insegnò «a comprendere e a non sottovalutare le situazioni che condizionano la dinamica delle istituzioni, con particolare riguardo, allora, ai partiti ed al loro funzionamento», Esposito Gli insegnò «a leggere il testo della Costituzione con l’impegno esegetico e la profondità di prospettive, resi ancor più necessari dalla entrata in funzione della Corte costituzionale nel 1956».
L’impegno politico, prima nella FUCI e poi nella Democrazia Cristiana; la passione per la storia delle istituzioni (sia italiane che straniere); l’interesse, anche come studioso, per l’attualità politica; infine, l’insegnamento di Mortati: tutti questi fattori non potevano non convergere e caratterizzare la Sua personalità di giurista, pronto a cogliere nei fatti quotidiani della politica tutto ciò che potesse avere una sia pur minima rilevanza costituzionale.
E questa sensibilità non lo abbandonò mai, anche quando dai primi studi di Government - come Lui stesso li chiamava, adottando la terminologia angloamericana - passò agli studi di Constitutional Law.Il che avvenne, prima con il saggio del 1962 su Libertà personale e misure di prevenzione e poi con le note di giurisprudenza e con gli importanti studi in tema di giustizia costituzionale (sulle sentenze additive, sulla posizione della Corte costituzionale nel quadro dei poteri costituzionali dello Stato, sulla retroattività delle decisioni di accoglimento ecc.). Tanto negli studi in tema di forma di governo, quanto in quelli concernenti i diritti costituzionali e la giustizia costituzionale, si avvertiva infatti, immediatamente, che l’interesse teorico era stato suscitato, in Elia, da un avvenimento politico che richiedeva allo studioso dotato di impegno civile una presa di posizione, favorevole o contraria. E le Sue erano, in questo senso, vere e proprie «testimonianze» di un giurista liberal e di un cattolico democratico. Le quali sono percepibili tanto nei saggi scientifici quanto nelle centinaia e centinaia di articoli apparsi nei quotidiani d’informazione e di partito nell’arco di sessant’anni.
Leopoldo Elia fu professore di ruolo di diritto costituzionale nelle Università di Ferrara (1962-63), di Torino (1963-1970) e di Roma «La Sapienza» (1970-1997); vice presidente del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione e presidente della I sezione (Istruzione universitaria) dal 1970 al 1976; condirettore della sezione «Diritto pubblico» dell’«Enciclopedia del diritto»; direttore di «Giurisprudenza costituzionale» dal 1968 al 1976 e dal 1986 al 1999; giudice costituzionale dal 1976 al 1985 (e presidente della Corte costituzionale dal 1981 fino alla scadenza del Suo incarico); senatore DC per varie legislature e poi deputato nel Partito Popolare; presidente della Commissione Affari costituzionali del Senato nella X legislatura; Ministro per le riforme costituzionali nel Governo Ciampi.
Nonostante le prestigiose cariche rivestite e, negli anni ‘70, l’importantissimo ruolo di ascoltato consigliere di Aldo Moro (un «suggeritore», si autodefiniva), Elia fu sempre un uomo semplice: era infatti Lui a telefonare direttamente anche agli studiosi più giovani, ancorché alle prime armi, per avere suggerimenti o indicazioni, che poi Lui ricambiava trasmettendo all’interlocutore esperienze e preziose riflessioni, se non addirittura - come fece con me - una calda amicizia.
Uomo semplice, ma non mite, come pure è stato detto da taluno nell’immediatezza della Sua scomparsa. Elia era bensì aperto al dialogo e disposto a farsi convincere dal contraddittore di turno, ma il contraddittore di turno avrebbe dovuto convincerlo. Paladin, che Lo ebbe collega nella Corte costituzionale, mi disse una volta: «Se fosse stato per Leopoldo, non si sarebbe mai finito di discutere e non avremmo mai votato…»; e quando io, scherzando, Gli riferii il commento di Livio (l’amicizia tra noi tre era tale che potevo ben farlo), Elia osservò: «Ma per il successo di una tesi in cui si crede, bisogna lottare fino in fondo…».
E se la tesi da Lui difesa aveva addirittura risvolti etici - penso al Suo forte atteggiamento critico contro il c.d. lodo Alfano, che lo impegnò in questi ultimi mesi nonostante il gravissimo male che lo affliggeva - Egli era assolutamente irremovibile.
Pur essendo allievo di Costantino Mortati, non seguì il Maestro nella teoria della costituzione materiale (del resto nata in periodo fascista, in assoluta mancanza di una costituzione rigida e prescrittiva, e quindi, a mio parere, oggi come oggi inutilizzabile). Di questa teoria Leopoldo condivideva però un aspetto, e cioè che in tutte le costituzioni ci sia un nucleo duro, come tale immodificabile. Un’intuizione, questa, che è alla base dell’indirizzo interpretativo dei «principi supremi dell’ordinamento» - che come giudice costituzionale e poi come presidente della Corte Elia contribuì a far affermare nella giurisprudenza costituzionale -, che però si estende fino ad individuare, nel nocciolo duro della vigente Costituzione, anche la forma di governo parlamentare. Il che indusse appunto Leopoldo a contrastare non solo negli ultimi quindici anni, sempre e con forza, ogni tentativo di premierato assoluto, di presidenzialismo nascosto e di derive plebiscitarie.
L’assiduità dei miei rapporti con Leopoldo fu soprattutto dovuta a Giurisprudenza costituzionale, a cui Lui collaborò sin dall’inizio: prima come componente del comitato di redazione, poi del comitato scientifico, infine come direttore dal 1968 al 1976 essendo Crisafulli entrato a far parte della Corte costituzionale. Eletto a sua volta giudice costituzionale nel 1976, Leopoldo ne riassunse la direzione nel 1986 per mantenerla fino al 1998. Con Elia il modo di dirigere la rivista cambiò gradualmente ma profondamente. Anche se non con la periodicità attuale, Elia riuniva i più stretti collaboratori presso la sede romana della casa editrice Giuffrè per esaminare e discutere con loro le decisioni della Corte costituzionale, per «assegnare» le rispettive annotazioni e talvolta per affidare a qualcuno di noi la lettura dei contributi richiesti.
Quello che però voglio ricordare qui è il contributo dato da Elia alla Rivista negli ultimi anni. Quando Elia, d’accordo con l’editore, «passò» a me la direzione, io Lo convinsi a restare nel comitato di direzione. Da allora, e per tutti questi ultimi anni, Egli si presentava puntualmente nelle nostre riunioni mensili presso il mio studio con il pacco delle decisioni della Corte del mese precedente chiosate ad una ad una. E noi tutti godevamo del Suo preziosissimo apporto dottrinale, dell’acume delle Sue osservazioni, dei Suoi ricordi e anche dell’arguzia dei Suoi rilievi critici. Se, a seguito di una qualche Sua osservazione, io di rimando Gli chiedevo: «E, allora, perché non l’annoti tu?», Leopoldo non di rado accettava, semplicemente, come un qualsiasi altro collaboratore, assai assai più giovane e meno autorevole di Lui.
Leopoldo Elia, con Vezio Crisafulli e Livio Paladin, fu il promotore della costituzione della nostra Associazione. Durante il triennio della Sua presidenza - nel primo consiglio direttivo dell’Associazione - furono organizzati tre importanti convegni annuali: quello di Padova (1986) su «Libertà di pensiero e mezzi di diffusione», quello di Firenze (1987) su «L’ampliamento dei poteri normativi dell’esecutivo» e quello di Bologna (1988) su «L’autonomia universitaria», nel corso dei quali Egli intervenne sempre come presidente di una sessione o come relatore di sintesi, così come intervenne, come relatore di sintesi, nel convegno di Milano (1992) su «Le prospettive dell’Unione europea e la Costituzione». Intervenne anche nel convegno di Firenze (2000) su «Il Parlamento» e in quello di Milano (2002) su «Diritto costituzionale e diritto giurisprudenziale». Memorabile la Sua splendida relazione di apertura nel convegno di Napoli dello scorso anno su «Il principio di laicità».
Ho detto all’inizio che con la scomparsa di Elia si chiude un ciclo di studiosi e di maestri del diritto costituzionale che da Santi Romano, e dai suoi allievi Carlo Esposito e Vezio Crisafulli, giungeva fino a Lui. So benissimo che una siffatta affermazione potrebbe sollevare perplessità, perché è stato merito di Elia, e non solo di Elia, di suscitare interesse scientifico tra i Suoi allievi e di far proseguire, attraverso di loro, il messaggio del Maestro (si chiami Esposito, Crisafulli, Elia o Paladin) o dei Maestri che lo hanno preceduto.
Il punto è un altro: l’autorevolezza di Leopoldo era tale che, ancorchè Egli, se fosse ancora tra noi, addirittura negherebbe, nella Sua profonda modestia, di aver creato una scuola, noi tutti rinvenivamo in Lui, e soltanto in Lui, il nostro punto di riferimento culturale: uno studioso nel quale tutti noi ci riconoscevamo e, spero, continueremo ancora a riconoscerci.
(11 ottobre 2008)
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