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Home :: Materiali :: Anticipazioni Una versione più estesa di questo contributo è in corso di pubblicazione su Nomos-Le attualità del diritto. La via francese alla ratifica del Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa: riforma costituzionale e referendum. di Claudia Di Andrea – cdiandrea@yahoo.com 1. Premessa. Prima ancora della firma solenne avvenuta il 29 ottobre 2004, nella sala degli Orazi e Curiazi in Campidoglio, a Roma, il Presidente della Repubblica francese Jacques Chirac – in occasione della festa nazionale del 14 luglio – aveva annunciato la propria intenzione di sottoporre a referendum il trattato che adotta una Costituzione per l’Europa. Successivamente, il 19 novembre, il Conseil constitutionnel adito dallo stesso Presidente ha stabilito con la decisione 2004-505 DC (per il cui commento, si veda la relativa cronaca in questo sito) che l’autorizzazione alla ratifica del trattato non avrebbe potuto aver luogo se non a seguito di una revisione costituzionale. Il 31 dicembre, nel tradizionale Voeux aux Français, il Presidente della Repubblica ha comunicato che i francesi – «così, voi, popolo sovrano, sarete chiamati a scegliere voi stessi il vostro destino» – voteranno per la Costituzione europea prima dell’estate. Con tale dichiarazione, dunque, il processo francese di ratifica del trattato costituzionale è stato definito nei suoi tratti essenziali. 2. La revisione costituzionale, prima di tutto. Il 3 gennaio, dunque, il Ministro della giustizia ha depositato all’Assemblea nazionale un progetto di legge costituzionale di modifica del titolo XV della Costituzione. Il progetto consta di 4 articoli che esplicheranno i loro effetti in due tempi: il primo, che entrerà in vigore subito, aggiunge un comma all’articolo 88-1 (che fa parte del predetto titolo XV) ed ha come scopo quello di consentire lo svolgimento del referendum annunciato dal Presidente della Repubblica; il secondo, anch’esso di immediata applicazione, inserisce nel titolo XV un nuovo articolo, l’88-5, che prevede la sottoposizione obbligatoria a referendum dei progetti di legge di autorizzazione alla ratifica dei futuri trattati di adesione; il terzo che, subordinatamente all’effettiva (ratifica da parte della Francia e alla) entrata in vigore della Costituzione europea, riscrive – nei termini di cui si dirà più avanti – il titolo XV della Costituzione francese e che assorbe il contenuto dei primi due articoli del progetto di legge; il quarto, anch’esso di immediata applicazione, volto ad escludere il referendum per le adesioni dei Paesi che hanno già avviato i relativi negoziati (Romania, Bulgaria, Croazia). L’esame parlamentare del testo si è svolto in tempi ridotti: l’Assemblea di Palais -Bourbon ne ha discusso in sede plenaria a partire dal 25 gennaio e lo ha approvato il 1° febbraio[1], il Senato ha proceduto all’esame nel mese di febbraio, approvando il testo già adottato dall’Assemblée senza apportarvi ulteriori modifiche. L’approvazione definitiva della revisione costituzionale sarà rimessa non già al referendum – secondo la procedura di revisione delineata dall’articolo 89, paragrafo 2, della Costituzione – ma al Parlamento riunito in Congrès, secondo quanto alternativamente stabilito al paragrafo 3 del medesimo articolo[2], che sarà a tal fine convocato dal Presidente della Repubblica, probabilmente già nel mese di marzo. Per volontà del Presidente Chirac, dunque, il popolo francese non sarà chiamato ad approvare in via definitiva la revisione costituzionale ma si esprimerà nel successivo procedimento di ratifica. 3. Un copione già visto? Saisine del Consiglio costituzionale, revisione della Costituzione e ratifica del trattato, passando eventualmente per un referendum: è questo, per certi versi, un copione già visto. Andò cosi nel 1992, per la ratifica del trattato di Maastricht, e nel 1999, per la ratifica del trattato di Amsterdam (senza referendum, in quel caso). In vista della ratifica del trattato di Maastricht, nel marzo del 1992, infatti, il Presidente della Repubblica François Mitterand adì, ai sensi dell’articolo 54 della Costituzione, il Conseil constitutionnel che rilevò, nella nota sentenza Maastricht I (décision 92-308 DC del 9 aprile 2002), elementi di contrasto tra i nuovi impegni discendenti dal trattato – in particolare con riferimento al diritto all’elettorato attivo e passivo per i cittadini comunitari, all’unione economica e monetaria e alla politica comune dei visti – e la Costituzione, affermando che, affinché con legge ordinaria potesse essere autorizzata la ratifica, era preliminarmente necessaria una revisione costituzionale[3]. In quella circostanza, dunque, con la legge costituzionale 92-554 del 25 giugno 1992 furono modificati gli articoli 2, 54 e 74 della Costituzione, relativi rispettivamente allo statuto della lingua francese, all’accesso al Conseil constitutionnel e ai territori di oltre mare, e fu inserito il nuovo titolo XV, composto di quattro articoli, che ha disciplinato in modo specifico la partecipazione alle Comunità e all’Unione europea[4]. Anche nel 1992, il Presidente preferì convocare il Parlamento in Congresso per procedere all’approvazione definitiva della legge costituzionale e, a revisione costituzionale avvenuta[5], indire un referendum sulla legge di ratifica, ai sensi dell’articolo 11 della Costituzione[6]. Cinque anni più tardi, nel periodo della cohabitation, il Presidente della Repubblica Chirac e il Primo ministro Jospin adirono congiuntamente il Consiglio costituzionale, in occasione della ratifica del trattato di Amsterdam. Analogamente a quanto avvenuto nel 1992, il 31 dicembre 1997, il Conseii affermò la necessità di una revisione costituzionale[7]. Con un intervento di portata più ridotta rispetto alla precedente revisione, la legge costituzionale 99-49 del 25 gennaio 1999 ha novellato l’articolo 88-2 della Costituzione, con riferimento alla libera circolazione delle persone, e ha sostituito integralmente il successivo articolo 88-4, ampliando il novero degli atti da trasmettere alle Camere e – conseguentemente – la possibilità per queste ultime di intervenire nel processo di determinazione del contenuto degli atti comunitari. Il Presidente della Repubblica, tuttavia, non ritenne di sottoporre a referendum la successiva legge di ratifica del trattato di Amsterdam (legge n. 99-229 del 23 marzo 1999). In occasione della ratifica del trattato di Nizza, invece, il ricorso alla saisine del Conseil non fu considerato necessario, né si ravvisò l’opportunità di sottoporre a referendum la legge di ratifica (legge n. 2001-603 del 10 luglio 2001). Per completezza, occorre ricordare che ad una revisione costituzionale si procedette anche per dare piena esecuzione agli accordi di Schengen, sottoscritti negli anni Ottanta da alcuni Stati europei: a tal fine la legge costituzionale n. 93-1256 del 25 novembre 1993, relativa agli accordi internazionali in materia di diritto d'asilo, inserì l’articolo 53-1 nella Costituzione[8]. Mentre in anni più recenti, è stato modificato, previo parere del Consiglio di Stato, il disposto dell’articolo 88-2 del titolo XV della Costituzione per dare una specifica base costituzionale al mandato d’arresto europeo (legge costituzionale n. 2003-267 del 25 marzo 2003)[9] . 4. Le indicazioni contenute nella decisione del Consiglio costituzionale e il contenuto del nuovo titolo XV. Il Consiglio costituzionale, nella sua decisione dello scorso 19 novembre, ha ritenuto necessaria la modifica della costituzione per due ordini di motivi. In primo luogo, una serie di disposizioni contenute nel nuovo trattato sono state ritenute in contrasto con le condizioni di esercizio della sovranità nazionale: si tratta in particolare di quelle che trasferiscono all’Unione europea ulteriori competenze, di quelle che modificano le condizioni di esercizio di competenze già trasferite, di quelle che consentono – attraverso le procedure di revisione semplificata – di modificare ulteriormente le condizioni di esercizio della sovranità. In secondo luogo, il riconoscimento di nuove prerogative ai parlamenti nazionali – sia con riferimento al controllo del rispetto del principio di sussidiarietà, sia con riferimento alla facoltà riconosciuta ad essi di opporsi al ricorso alla procedura di revisione semplificata del trattato – è stato ritenuto necessitante sia di riconoscimento costituzionale che di disciplina “attuativa” di pari rango[10]. Incidentalmente, si ricorda che il trattato costituzionale attribuisce – in modo diretto e senza la mediazione di norme nazionali di esecuzione – ulteriori facoltà ai parlamenti nazionali: ad essi devono essere trasmesse le domande di adesione (di cui all’articolo I-58, par. 2) e i progetti di revisione (articolo IV-443)[11]. I parlamenti nazionali sono, inoltre, associati a diverso titolo nelle decisioni relative allo spazio di libertà, sicurezza e giustizia (articoli III-260, III-261, III-273, III-276). Come anticipato brevemente, dunque, il titolo XV – subordinatamente all’entrata in vigore della Costituzione europea – sarà integralmente riscritto e si comporrà di sette articoli anziché di quattro. Il nuovo articolo 88-1 consente la partecipazione della Francia all’Unione europea secondo le condizioni stabilite dal trattato firmato il 29 ottobre 2004, consentendo implicitamente e riassuntivamente al relativo trasferimento di competenze. Questa opzione redazionale assolve a due finalità: da una parte “congela” il quadro delle competenze trasferite e le modalità del loro esercizio con riferimento al trattato in via di ratifica, dall’altra evita che si debba procedere – come attualmente – all’enumerazione puntuale delle competenze (che limitano l’esercizio della sovranità nazionale) trasferite. L’articolo 88-2, che nella versione attualmente vigente fa riferimento ai trasferimenti di competenza in materia di libera circolazione e unione economica e monetaria, sarà dedicato esclusivamente al mandato di arresto europeo, per continuare a fornire una specifica base costituzionale a tale settore di cooperazione. L'articolo 88-3, che concerne l’elettorato passivo e attivo per le elezioni comunali , con le opportune correzioni redazionali, riproduce il testo già in vigore del medesimo articolo. Anche l’articolo 88-4 – nel testo presentato dal Governo ma successivamente modificato dall’Assemblea nazionale (e adottato nell’identica formulazione dal Senato) – riproduceva il testo attualmente vigente. Esso ha ad oggetto la trasmissione (obbligatoria) da parte del Governo alle Camere dei progetti e delle proposte di atti delle istituzioni europee relativi a materie che rilevano della sfera di competenza della legge, nonché la possibilità per il Governo di trasmettere facoltativamente ogni altro atto comunitario. La previsione contempla, altresì, la possibilità per ciascuna assemblea di adottare atti di indirizzo sui testi trasmessi in via obbligatoria o facoltativa[12]. L’introduzione di questo articolo nel 1992 si è resa necessaria in quanto – a differenza della maggior parte dei parlamenti dell’Unione europea – l’Assemblea nazionale e il Senato non avrebbero potuto esprimere, in sede plenaria, la propria posizione su nessuna materia europea. Ciò dal momento che le Assemblee parlamentari potevano votare, nei modi stabiliti dalla Costituzione, esclusivamente le leggi[13]. Introducono, invece, materie nuove rispetto a quelle attualmente contenute nel titolo XV della Costituzione i successivi tre articoli del progetto di revisione. In particolare, gli articoli 88-5 e 88-6 rispondono al secondo gruppo di modifiche richieste dal Conseil e consentiranno all’Assemblée nationale e al Senato di esercitare le nuove prerogative attribuite ai Parlamenti nazionali dal trattato (a differenza dell’articolo 88-4 che esplica i suoi effetti tra il Parlamento e il Governo, questi ultimi due mettono direttamente in relazione le Assemblee parlamentari francesi con le istituzioni dell’Unione). L’introduzione dell’articolo 88-7, che prevede il referendum obbligatorio sulle nuove adesioni, risponde invece ad un diverso ordine di motivi e non trova fondamento nella decisione del Conseil. Prima di illustrare il contenuto di questi ultimi tre articoli, è opportuno fare qualche accenno ai lavori parlamentari sul progetto di revisione – in particolare – con riferimento alle proposte di modifica presentate in relazione all’articolo 88-4 della Costituzione. 5. La trasmissione degli atti dell’Unione europea al Parlamento francese. Questa materia nel progetto di legge presentato dal Governo, anche in considerazione di una mancata richiesta del Consiglio costituzionale, non doveva essere oggetto di modifiche rispetto alla disciplina attualmente dettata dall’articolo 88-4 della Costituzione. L’esame parlamentare del progetto di revisione costituzionale si è incaricato di smentire le previsioni del Governo e – se si esclude il referendum sui nuovi ingressi – la questione degli atti da trasmettere al Parlamento è stata l’unica intorno alla quale si è acceso un dibattito. Sicuramente, l’unica questione oggetto di dibattito propriamente costituzionale. Il presidente della Commissione affari esteri dell’Assemblea nazionale, l’ex primo ministro Balladur, attualmente deputato di Parigi per l’UMP, ha presentato e fatto approvare – in sede consultiva – anche con il sostegno dei deputati dell’UDF e di quelli di opposizione appartenenti al Partito socialista, un emendamento volto a rafforzare i poteri di controllo del Parlamento nella gestione e nella definizione della posizione nazionale nelle politiche comunitarie[14]. L’emendamento prevedeva che «su richiesta del presidente dell’Assemblea o del Senato, o di una commissione permanente delle due Assemblee, ovvero di sessanta deputati o senatori, il Governo è tenuto a sottoporre al Parlamento ogni documento europeo, senza esclusione alcuna»[15]. Se al momento, dunque, il Governo è obbligato a trasmettere tutti gli atti che investono materie del domain de la lois (e non di quelle di rango regolamentare, ai sensi degli articoli 34 e 37 della Costituzione), e può decidere liberamente quali altri atti trasmettere, l’emendamento Balladur, avrebbe comportato la possibilità per il Parlamento di avocare a sé il diritto di discutere di qualunque argomento – potendo, altresì, dettare indicazioni al Governo attraverso risoluzioni – facendo valere in modo pieno la responsabilità dell’esecutivo nel domaine européen. È abbastanza evidente che tale proposta rappresentava un intervento di grosso impatto nel domain réservé del Presidente della Repubblica che – secondo l’articolo 52 della Costituzione – negozia e ratifica (senza “intrusioni” parlamentari o governative) i trattati internazionali, ivi compresi quelli comunitari e che lo stesso avrebbe potuto modificare gli equilibri costituzionali in tale materia. Il Primo ministro – parlando, evidentemente, per conto del Presidente della Repubblica – ha posto immediatamente il veto (successivamente, almeno parzialmente, rientrato) su tali iniziative, avvisando tutti dell’inopportunità di caricare di significati eccessivi il dibattito: «la révision sera l’occasion de renforcer le rôle du Parlement pour un meilleur contrôle de l’action européenne. Mais en aucun cas, ce débat ne peut être l’occasion de modifier les rôles respectifs du Chef de l’Etat et du Parlement. L’équilibre de nos institutions n’est pas amendable»[16]. L’emendamento, d’altra parte, oltre alla contrarietà dell’inquilino dell’Eliseo,del Governo, nonché della Commmission des loi– che lo ha respinto – ha raccolto l’opposizione anche del Presidente dell’Assemblée, Jean-Louis Debré che – in modo forse troppo riduttivo – ha dichiarato di non credere alla diplomazia parlamentare[17]. Tutto ciò non ha scoraggiato Balladur dal sottoporre comunque l’emendamento all’esame dell’Assemblea che, nella seduta dello scorso 27 gennaio, lo ha lungamente esaminato in un dibattito acceso in cui hanno fatto apparizione i “temi alti” del costituzionalismo declinati secondo la sensibilità francese. Fra i quali, inevitabilmente … la crisi della IV Repubblica, la questione dell’equilibrio dei poteri, il timore dell’«homme seul contre le Parlement», la figura del (generale) presidente De Gaulle. In realtà, tuttavia, il dibattito si è svolto con la consapevolezza che non già l’emendamento Balladur – che infatti è stato ritirato dal presentatore – ma un altro emendamento presentato in termini identici dal socialista Floch e dall’UMP Lequiller sarebbe stato approvato. Il Presidente della Repubblica seriamente preoccupato per l’esito del referendum (cfr. par. 9) ha, infatti, manifestato un’apertura alle posizioni più moderate dei socialisti e, così, il Primo ministro si è personalmente incaricato di comunicare al capo gruppo all’Assemblée del principale partito di opposizione l’accoglimento dell’emendamento già presentato del deputato Floch, e dagli altri deputati socialisti, presso la Commissione delle leggi (e, all’uopo, ripresentato in Assemblea in un testo analogo anche da un deputato della maggioranza). I contenuti dell’emendamento Balladur sono stati difesi, contro la propria maggioranza, dal presidente del secondo partito della coalizione di governo François Bayrou (UDF) che a fronte delle obiezioni sollevate dal Ministro della giustizia, Dominique Perben, secondo il quale la possibilità di adottare risoluzioni parlamentari in relazione a negoziati «serait susceptible de gêner le Gouvernement ou le Président de la République» ha inutilmente e appassionatamente fatto appello alle risorse offerte dalla retorica : «Si l'expression de la représentation nationale gêne le Gouvernement, alors à quoi sert cet hémicycle, les colonnes, les marbres?». L’emendamento Floch-Lequiller approvato dall’Assemblée nationale – che ha sancito il patto sulla Costituzione europea tra l’UMP e il PS – ha dunque integrato il testo presentato dal Governo, prevedendo che siano obbligatoriamente trasmessi alle Camere tutti i progetti di atti legislativi europei – ovvero le leggi e le leggi quadro (che succedono, rispettivamente, agli attuali regolamenti e alle direttive), ai sensi degli articoli I-33 e I-34, del trattato costituzionale – a prescindere che essi rilevino, nell’ambito nazionale, della sfera di competenza della legge o del regolamento[18]. Questa previsione è, peraltro, coerente con quanto disposto dall’articolo 88-5 – di cui si dirà al paragrafo successivo – che prevede l’attivazione delle procedure per la verifica del rispetto del principio di sussidiarietà in relazione a tutti gli atti legislativi europei. 6. Il rispetto del principio di sussidiarietà. L’articolo 88-5 definisce le forme attraverso le quali ciascuna Camera potrà esercitare il controllo del rispetto del principio di sussidiarietà. Il trattato di Maastricht aveva introdotto nel trattato istitutivo la previsione ai sensi della quale «nei settori che non sono di sua esclusiva competenza la Comunità interviene, secondo il principio della sussidiarietà, soltanto se e nella misura in cui gli obiettivi dell'azione prevista non possono essere sufficientemente realizzati dagli Stati membri e possono dunque, a motivo delle dimensioni o degli effetti dell'azione in questione, essere realizzati meglio a livello comunitario»[19]. Il rispetto del principio di sussidiarietà, tuttavia, era soggetto unicamente al controllo giurisdizionale della Corte di giustizia, in una fase successiva all’adozione degli atti legislativi. La Costituzione europea, nell’articolo I – 11, relativo ai principi fondamentali, codifica il principio di sussidiarietà tra i principi che regolano la delimitazione delle competenze dell’Unione, insieme a quello dell’attribuzione e a quello della proporzionalità (paragrafo 3, prima parte). Tuttavia, mentre nell’enunciazione del principio di sussidiarietà non si rinvengono elementi di innovazione, le modalità di applicazione dello stesso mutano in modo significativo proprio in ragione del coinvolgimento diretto dei Parlamenti nazionali degli Stati membri chiamati a vigilare sul suo rispetto, secondo quanto stabilito dal Protocollo sull'applicazione del principio di sussidiarietà e di proporzionalità, cui il trattato rinvia espressamente (art. I-11, paragrafo 3, parte seconda). Tale Protocollo disciplina due diverse procedure attraverso le quali i parlamenti nazionali possono agire ove ritengano che un atto legislativo dell'Unione leda il principio sussidiarietà. La prima può essere attivata nel corso dell’iter di formazione dell’atto normativo ed è un meccanismo di controllo politico: ove, infatti, un terzo dei parlamenti nazionali degli Stati membri (che scende ad un quarto, in alcuni casi) ravvisino che una proposta normativa della Commissione europea risulti lesiva del richiamato principio, la Commissione è tenuta a riesaminare la proposta (articolo 7 del Protocollo). Il secondo procedimento, che si configura come un controllo di tipo giurisdizionale, può essere esperito contro gli atti comunitari già in vigore. In tal caso, il parlamento nazionale, per il tramite del proprio Governo, può presentare ricorso dinanzi alla Corte di Giustizia (articolo 8 del Protocollo). I parlamenti nazionali, nella verifica del rispetto del principio di sussidiarietà sono tenuti a consultare, ove necessario, le assemblee regionali con poteri legislativi (articolo 6 del Protocollo). Il Protocollo sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità, peraltro, deve esser letto congiuntamente quello sul ruolo dei parlamenti nazionali che stabilisce che tutte le proposte legislative indirizzate al Parlamento europeo ed al Consiglio sono trasmesse ai parlamenti nazionali degli Stati membri, che possono inviare ai presidenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione un parere motivato in merito alla conformità della proposta normativa al principio di sussidiarietà e proporzionalità (articoli 1, 2 e 3 del Protocollo). L’articolo 88-5 della Costituzione stabilisce, conseguentemente, che le Camere potranno – secondo le modalità stabilite da ciascun regolamento – adottare, anche fuori sessione, un parere motivato sulla conformità di un progetto di atto legislativo dell’Unione europea al principio di sussidiarietà. Il parere dovrà essere indirizzato dal presidente dell’assemblea interessata al Presidente del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione, di esso dovrà essere informato anche il Primo ministro. Il termine per la presentazione del parere motivato è fissato nel Protocollo in sei settimane dalla trasmissione dell’atto comunitario. Analogamente anche in relazione alla seconda procedura attivabile dai parlamenti nazionali, ovvero il ricorso alla Corte di giustizia, l’articolo 88-5 stabilisce che ogni assemblea possa presentare ricorso contro un atto legislativo dell’Unione per violazione del principio di sussidiarietà. In questo caso, secondo quanto stabilito dall’articolo 8 del Protocollo (che rinvia all’articolo III-365 del trattato), il termine è di due mesi dalla pubblicazione dell’atto. Il testo del progetto di legge proposto dal Governo è stato perfezionato sotto il profilo redazionale (in quello originario, ad esempio, si faceva riferimento all’adozione di risoluzioni e non a quella di pareri) rimanendo sostanzialmente immutata la sua portata[20] . Ai regolamenti parlamentari, dunque, è rinviata la definizione delle norme attraverso le quali ciascuna Camera eserciterà le nuove funzioni[21]. 7. L’opposizione alle procedure di revisione semplificata. L’articolo 88-6 stabilisce le modalità attraverso le quali il Parlamento francese può opporsi alla procedura di revisione semplificata, prevista dall’articolo IV-444 del trattato, che contempla le cosiddette “clausole passerella”. L’articolo IV-444, nei paragrafi 1 e 2, prevede rispettivamente che il Consiglio possa deliberare in talune materie del capo III del trattato non già all’unanimità (come ordinariamente stabilito) ma a maggioranza, e che il Consiglio europeo possa adottare una decisione che consenta l’adozione di un atto legislativo europeo non secondo una procedura speciale ma secondo la procedura legislativa ordinaria. A tali decisioni, i parlamenti tempestivamente avvisati dell’intenzione del Consiglio europeo possono – nel termine di sei settimane – opporsi comunicando la propria opposizione. La contrarietà, anche di un solo parlamento nazionale, ha l’effetto di impedire l’adozione della decisione o dell’atto legislativo. L’esercizio di tale facoltà – a differenza di quanto previsto per il rispetto del principio di sussidiarietà – non deve essere motivato. Per esercitare la nuova prerogativa riconosciuta dal trattato, ai sensi del nuovo articolo 88-6, l’Assemblea nazionale e il Senato debbono procedere all’adozione di una mozione formulata in termini identici. Nel corso dell’esame presso la Commission des loisera stato adottato un emendamento volto a prevedere che nel caso in cui la mozione non fosse stata adottata in termini identici dalle due Camere, la decisione definitiva spettasse comunque all’Assemblée nationale . L’emendamento, tuttavia, è stato respinto dall’Assemblea[22]. A differenza, di quanto previsto dall’articolo 88-5, la facoltà di opporsi a tali procedure è riconosciuta al Parlamento e non a ciascuna delle Camere singolarmente. 8. Il referendum sui nuovi ingressi. È forse troppo riduttivo leggere l’articolo 2 del progetto – il cui contenuto è riprodotto anche nell’articolo 88-7 del nuovo titolo XV – come l’ennesima manifestazione delle perplessità francesi all’ingresso nell’Unione europea della Turchia. Probabilmente, tuttavia, sarebbe inutile cercarne le ragioni troppo lontano. È bene, peraltro, chiarire che questa previsione sarà costituzionalizzata sia nel caso in cui la Costituzione europea entrerà effettivamente in vigore sia in caso contrario: come detto sopra, infatti, essa sarà riprodotta – nell’ambito del nuovo titolo XV - dall’articolo 88-7 della Costituzione, diversamente – e fino all’entrata in vigore del nuovo trattato costituzionale – essa costituirà l’articolo 88-5 del vigente titolo XV. D’altra parte, la Francia non è nuova a referendum in caso di allargamento delle Comunità europee: nel 1972, in vista dell’ingresso del Regno Unito, dell’Irlanda, della Danimarca (e della Norvegia che poi vi rinunciò) il presidente Georges Pompidou sottopose al voto popolare la ratifica. Al voto partecipò il 60 per cento degli aventi diritto e il 68 per cento dei voti fu per il sì. In occasione della ratifica del trattato di Roma del 1957, la Costituzione francese della IV Repubblica non consentiva il ricorso al popolo per pronunciarsi sulla partecipazione alla costruzione europea e – in occasione dell’ingresso dei nuovi paesi e soprattutto del Regno Unito cui il presidente De Gaulle si era lungamente e efficacemente opposto – in qualche modo fu conferito un suggello democratico al processo intrapreso. I successivi allargamenti del 1981, 1986, 1995 e 2004 – probabilmente meno evocativi sotto il profilo simbolico – sono stati ratificati in via parlamentare. Il progetto di revisione attualmente in esame prevede in via ordinaria lo svolgimento del referendum ma tace circa le possibili conseguenze di un’eventuale reiezione della legge di ratifica relativa a nuove adesioni: ovvero se la legge già respinta possa, in un secondo momento, essere nuovamente proposta al voto popolare o se la reiezione possa comportare l’avvio delle procedure di ritiro[23]. Con riferimento a questa eventualità, infatti, occorre tenere in considerazione che la Costituzione europea disciplina espressamente, per la prima volta nella storia dell’integrazione comunitaria, una tale procedura. L’art. I-60 prevede, infatti, che ove uno Stato intenda abbandonare l’Unione, esso debba notificare tale volontà al Consiglio europeo, che dà avvio ai negoziati per la definizione delle modalità del ritiro e dei successivi rapporti con l’Unione. Il recesso ha effetto a decorrere dall’entrata in vigore dell’accordo o, in caso di mancato raggiungimento dello stesso, non prima di due anni dalla notifica iniziale. Se non si può ritenere che il referendum obbligatorio sia stato inserito in Costituzione solo per omaggio formale au peuple souverain è, d’altra parte, difficile immaginare che l’Unione europea possa sopravvivere ad un ritiro della Francia. È evidente che la previsione si presta anche ad una lettura fuori dal contesto nazionale: gli altri Stati membri dell’Unione dovranno, d’ora in avanti, tenere in considerazione gli effetti di una possibile bocciatura dei nuovi ingressi da parte di un paese chiave dell’Unione quale la Francia. Insomma, la previsione di un referendum obbligatorio sembra costituire una sorta di deterrente ad adesioni affrettate o volute “a dispetto” della posizione francese[24]. … ecco che si torna alla Turchia, da dove queste considerazioni avevano preso le mosse. La previsione di un referendum “obbligatorio” è stata da taluni criticata in quanto volta ad introdurre un automatismo eccessivo: l’articolo 11 della Costituzione, infatti, già consente – a Costituzione vigente – il ricorso al referendum (sebbene su proposta delle due Assemblee ovvero del Governo, che deve – a tal fine – esporre dinanzi a ciascuna Assemblea le ragioni della richiesta)[25]. La previsione, anche in relazione all’ingresso di paesi di modeste dimensioni, è sembrata frutto dell’ossessione turca piuttosto che di una meditazione serena[26]. 9. La guida del processo di revisione e di ratifica. Approvata la legge di revisione costituzionale, nella vigenza del nuovo articolo 88-1 della Costituzione (che statuirà che la Francia può partecipare all’Unione europea, nelle condizioni previste dal trattato firmato il 29 ottobre 2004) sarà possibile svolgere il referendum promesso dal Presidente. Esula da queste brevi note l’esame delle ragioni politiche per le quali il Presidente della Repubblica ha deciso di sottoporre a referendum la ratifica. Tuttavia, ripercorrerle sommariamente, può aiutare a capire il senso e la posta in gioco. In primo luogo, la proposta – giunta inaspettatamente[27] – ha riportato il Presidente Chirac al centro dell’arena politica. A fronte dell’avvio delle “prove generali” per la successione all’Eliseo – il primo Quinquiennat, dopo che la legge costituzionale del 2000 ha accorciato di due anni il mandato presidenziale, verrà a scadenza nel 2007 – il Presidente ha avviato la propria campagna elettorale per la riconferma. A differenza di quanto avvenuto nel 1992 per la ratifica del trattato di Maastricht – quanto il partito del presidente (l’ormai dissolto RPR-Rassemblement pour la République) era fortemente diviso – il Presidente Chirac si è schierato in modo deciso per la ratifica del trattato firmato a Roma, facendosi paladino del sì: «en approuvant la Constitution européenne, vous permettrez à l’Europe d’être plus démocratique, plus volontaire, plus puissante. Vous la rendrez capable de progrès économiques et sociaux plus rapides. Et vous permettrez à la France de peser davantage dans l’Union»[28]. Due questioni, tuttavia, “movimentano” il processo di ratifica e rendono non scontato il suo risultato. In primo luogo la diffidenza più o meno manifesta di tutti i partiti, specialmente quelli di opposizione, e di tutti gli aspiranti inquilini dell’Eliseo per una campagna elettorale condotta ed impersonata dal Presidente della Repubblica. Come efficacemente evidenziato da Olivier Duhamel «parmi tous les arguments invoqués pour voter "non" à la Constitution européenne, il en est un qui ne concerne ni l’Europe en général, ni le texte constitutionnel en particulier. Il est strictement politique, et franco-français : un homme ou une femme de gauche ne saurait voter une deuxième fois pour Chirac»[29]. In secondo luogo, la sovrapposizione tra il dibattito sulla Costituzione europea e la questione dell’adesione della Turchia all’Unione europea. Questione, che vede il Presidente della Repubblica – assertore dell’ingresso in una prospettiva di medio lungo periodo – in una posizione isolata rispetto alla sua stessa maggioranza ed anche rispetto all’opinione pubblica del Paese. Non a caso nei suoi interventi pubblici anche Valéry Giscard d’Estaing, già presidente della Convenzione, ha messo in guardia l’Eliseo sui rischi di una posizione ambigua della Francia sull’ingresso della Turchia: se i francesi saranno indotti a pensare che dicendo sì alla Costituzione europea diranno sì all’ingresso della Turchia, il referendum sarà messo in crisi. Per fugare i sospetti su una gestione solitaria, in vistadell’indizione del referendum, il Presidente ha ritenuto di coinvolgere i partiti presenti in Parlamento (opzione, questa, che ha escluso il Front national di Jean-Marie Le Pen) nella definizione delle regole per lo svolgimento del referendum stesso. Lo scorso 12 gennaio, dunque, sono state avviate le consultazioni: è stato ricevuto all’Eliseo, per primo, il presidente del principale partito della maggioranza (UMP-Union pour un mouvement populaire) Nicolas Sarkosy che – pur schierando il proprio partito per il sì – ha ribadito la propria volontà di sottoporre al voto del prossimo consiglio nazionale del partito la questione dell’allargamento alla Turchia e della Costituzione. È stata poi la volta del socialista François Hollande (PS-Parti socialiste), che aveva chiamato il proprio partito ad esprimersi sulla Costituzione europea nel mese di dicembre[30]. Il leader dei socialisti francesi ha chiesto al Presidente di essere garante che la consultazione abbia ad oggetto la Costituzione e non sia strumentalizzata in modo partigiano né dallo stesso Presidente della Repubblica, né dal Governo, i cui ministri dovranno partecipare alla campagna rappresentando solo ed esclusivamente i propri partiti. È stato ricevuto anche Jean-Pierre Chevènement (MRC-Mouvement républicain et citoyen) che intende affrontare la campagna «comme David affrontait Goliath». Chevènement, sostenitore del no, è preoccupato di non poter disporre – anche per la mancata previsione di specifici contributi elettorali in favore dei partiti – di mezzi e di spazi adeguati per illustrare la propria posizione. PreoccupazioneJean-Michel Baylet (Parti radical de gauche). Gilees Lemaire (Verdi), in attesa che il partito decida la propria posizione in un assise prevista per metà febbraio, ha richiamato alla necessità di non “inquinare” il dibattito sulla Costituzione con questioni diverse. Sono stati ricevuti dal Presidente anche Philippe de Villiers (MPF-Mouvement pour la France), paladino del no al referendum insieme al Front national, che è convinto che si possa negare la ratica e Marie-George Buffet (PCF-Parti comuniste français) che, da una diversa prospettiva, sostiene che «la bataille du "non" est gagnable» da sinistra. François Bayrou (UDF- Union pour la démocratie française) – che ha recentemente dato vita insieme al leader della Margherita Francesco Rutelli al Partito democratico europeo i cui aderenti sono confluiti nel gruppo dei Liberaldemocratici al Parlamento europeo – dopo aver lanciato senza fortuna l’idea di svolgere una campagna elettorale congiunta tra UDF, UMP e PS, ha rappresentato al Presidente della Repubblica le proprie perplessità per lo svolgimento di una campagna elettorale non “concordata” e per la posizione assunta da Chirac sulla Turchia. Sia l’UDF che l’UMP, infatti, avevano sostenuto un partenariato privilegiato opponendosi all’avvio del processo che porterà all’adesione. Oltre alla diffidenza dei partiti, l’attivismo del Presidente della Repubblica preoccupa il Primo ministro Jean-Pierre Raffarin che, tuttavia, ha annunciato di voler partecipare attivamente alla campagna referendaria[31]. Peraltro, la proposta del Governo è stata necessaria per consentire al Presidente della Repubblica sia l’adozione di un progetto di legge di revisione costituzionale (ai sensi dell’articolo 89 della Costituzione) – sia per consentire l’indizione da parte del Presidente della Repubblica del referendum sulla legge di ratifica (secondo quanto previsto dall’articolo 11 della Costituzione). Si profila, dunque, una campagna elettorale sicuramente orientata per il sì, tuttavia una campagna tendenzialmente cacofonica e in cui l’«oui pluriel» dei principali partiti rappresentati in Parlamento deve far fronte in primo luogo all’ipoteca della questione turca. Il “metodo Chirac” sulla Turchia e sul referendum – e il presidente stesso deve essersene reso conto per primo – tuttavia non è privo di rischi. Così per assicurare il risultato positivo al referendum ed associare il Partito socialista alle sue sorti, il Presidente della Repubblica ha dovuto stringere un patto con i socialisti (isolando – però – l’UDF), accettando di modificare il progetto di revisione costituzionale e di ampliare, in qualche modo, i poteri del parlamento nazionale (cfr. par. 5). I toni della campagna referendaria dovranno, tuttavia, essere particolarmente misurati ed attenti. Il risultato del referendum sulla ratifica del trattato di Maastricht non è certo un buon viatico, allora – quanto gli enjeux anche sotto il profilo simbolico erano sicuramente inferiori – la percentuale dei sì raggiunse solo il 51 per cento (con una partecipazione al voto del 70 per cento degli aventi diritto). 10. Cenni sulle modalità di ratifica negli altri paesi dell’Unione e in Italia. L’articolo IV-447 del trattato costituzionale prevede che lo stesso debba essere ratificato da tutte le parti contraenti, secondo le rispettive norme costituzionali, e che esso entrerà in vigore il 1° novembre 2006, a condizione che entro tale data siano stati depositati tutti gli strumenti di ratifica. In caso contrario, il trattato entrerà in vigore il primo giorno del mese successivo al deposito dello strumento di ratifica da parte dello Stato firmatario che procederà per ultimo a tale formalità. Il trattato, dunque, non prevede espressamente – benché di ciò si sia discusso anche lungamente – un obbligo di ratifica attraverso il ricorso al referendum. Molti paesi, tuttavia, hanno deciso di farvi ricorso alternativamente o congiuntamente con la ratifica parlamentare. L’Ungheria e la Lituania hanno già proceduto alla ratifica per via parlamentare. Per quanto concerne gli altri Paesi: alcuni prevedono un percorso esclusivamente parlamentare (così l’Austria, Cipro, la Finlandia, la Grecia, Malta, la Slovenia, la Svezia), altri un percorso “misto” che contempla lo svolgimento di un referendum (l’Irlanda; un referendum di tipo consultivo è, invece, previsto: in Lussemburgo, ove è già stato indetto per il 10 luglio 2005; nei Paesi Bassi; in Spagna; nel Regno Unito; in Belgio – essendo stata esclusa la possibilità di svolgimento di un vero referendum da parte del Coniglio di Stato – si svolgerà una consultazione popolare), altri ancora un percorso esclusivamente attraverso il referendum (Repubblica ceca, Danimarca, Polonia, Portogallo). In altri paesi, invece, appare poco probabile il ricorso al referendum (in Estonia e in Lettonia, e in Germania, solo ove fosse modificata la Costituzione) o non è ancora stato escluso (nella Repubblica Slovacca)[32]. A differenza del caso francese, in quello italiano – analogamente a quanto avvenuto con i precedenti trattati comunitari – non sarà necessario procedere ad una modifica costituzionale: la ratifica avrà luogo secondo il modello “tradizionale” delineato dell’articolo 80 della Costituzione, attraverso l’approvazione di una legge di autorizzazione alla ratifica. Le cessioni di sovranità in favore delle istituzioni comunitarie sono, infatti, consentite secondo l’articolo 11 della Costituzione e l’interpretazione che di tale articolo è stata data. Il disegno di legge presentato dal Governo – che contiene esclusivamente l’autorizzazione alla ratifica e la clausola di esecuzione – è stato approvato in prima lettura dalla Camera lo scorso 25 gennaio[33]. Il testo, attualmente all’esame del Senato, potrà essere approvato in via definitiva entro la primavera. Successivamente, si aprirà per le Camere un nuovo “cantiere”, quello per l’adeguamento dei propri regolamenti alle nuove attribuzioni. Sarà l’occasione per dare sostanza alle nuove previsioni della comune Costituzione europea, per individuare modalità di relazione con le Istituzioni comunitarie anche senza la mediazione del Governo. Spetterà a ciascuna Camera trovare le forme più adeguate per seguire l’agenda politica comunitaria e cercare di integrarla, già nella fase ascendente, in quella nazionale. [1] Nella seduta del 1° febbraio, in occasione del voto finale del progetto di revisione costituzionale, all’Assemblea nazionale, 548 deputati hanno partecipato alla votazione, di questi 450 hanno votato sì e 34 hanno votato no. Di particolare interesse – anche alla luce di quanto si dirà nel par. 9 – l’analisi del voto dei gruppi parlamentari: per quanto riguarda la maggioranza nell’UMP 329 deputati hanno votato a favore (gli astenuti e i contrari sono stati in totale 11), mentre nell’UDF 28 deputati su 31 hanno votato a favore. Nell’opposizione, tra i socialisti 90 hanno votato a favore mentre 56 si sono astenuti; nel gruppo dei repubblicani e socialisti, invece, i voti contrari sono stati 22 su 22 iscritti. [2] L’articolo 89 della Costituzione, infatti, stabilisce che les projet de révision, ovvero i progetti di iniziativa dell’Esecutivo, possono essere approvati definitivamente attraverso il referendum ovvero, alternativamente, dal Parlamento riunito in Congrés . In tal caso la revisione è approvata ove raccolga i tre quinti dei voti. Per le proposition de révision, ovvero le proposte di iniziativa parlamentare, è sempre necessario – dopo l’approvazione nell’identico testo da parte di entrambe le Camere – il referendum. Delle quindici leggi costituzionali adottate, in applicazione dell’articolo 89 della Costituzione della V Repubblica, una sola – quella relativa alla riduzione della durata del mandato del presidente della Repubblica – è stata sottoposta a referendum, il 24 settembre 2002, registrando una partecipazione al voto molto bassa (30,19 per cento) e una ampia maggioranza di voti favorevoli alla sua approvazione (73,21 per cento a fronte del 26,80 per cento contro). [3] Sui contenuti della sentenza, sinteticamente, cfr. Joël RIDEAU, La construction européenne et la Constitution de 1958, in La Constitution de 1958 a quarante ans ( http://www.conseil-constitutionnel.fr/dossier/quarante/index.htm ). Cfr. anche: Louis FAVOREU, Le contrôle de constitutionnalité du Traité de Maastricht et le développement du "droit constitutionnel international", in Revue générale de droit international public, 1993, p. 39 ; Bruno GENEVOIS, Le Traité sur l'Union européenne et la Constitution, in Revue française de droit administratif, 1992, p. 373; Claude BLUMANN, La ratification par la France du traité de Maastricht, in Revue du marché commun et de l'Union européenne, 1994, p. 393 ; François LUCHAIRE, L'Union européenne et la Constitution, in Revue du droit public, 1992, p. 589. Si veda anche : Jean Claude. ESCARRAS, Il Trattato di Maastricht e la Costituzione francese , in Quaderni costituzionali, 1993, p. 345, Maria Angela ORLANDI, Il recepimento del diritto comunitario in Francia, in Diritto pubblico comparato ed europeo, 1999, p. 1703. [4] Il Titolo XV costituiva la presa d’atto del processo di integrazione avvenuto – stabilendo, all’articolo 88-1, che la Repubblica francese partecipa alle Comunità europee e all’Unione europea, costituite dagli Stati che hanno liberamente scelto, in virtù di appositi trattati istitutivi, di esercitare in comune talune competenze proprie – e conferiva allo stesso processo una nuova legittimazione costituzionale. L’articolo 88-2 espressamente consentiva alla limitazione della sovranità nazionale, a condizione di reciprocità con gli altri Stati, trasferendo le competenze necessarie allo stabilimento dell’unione economica e monetaria, e alla definizione di regole comuni in materia di attraversamento delle frontiere. L’articolo 88-3, invece, consentiva il riconoscimento dell’elettorato attivo e passivo ai cittadini di altri paesi comunitari residenti in Francia, rinviando ad una legge organica la disciplina della materia. L’articolo 88-4 stabiliva l’obbligo per il Governo di trasmettere le proposte di taluni atti comunitari all’Assemblea nazionale e al Senato, prevedendo per questi ultimi la possibilità di adottare – secondo le modalità stabilite nei rispettivi regolamenti – atti di indirizzo. [5] Il Conseil constitutionnel è stato nuovamente adito il 14 agosto 1992, da settanta senatori, successivamente all’approvazione della legge costituzionale, al fine di verificare se il Trattato fosse conforme alla Costituzione. In questa seconda occasione, tuttavia, il Conseil non ha rilevando elementi di contrasto tra l’atto comunitario e il testo costituzionale recentemente novellato (décision 92-312 DC del 2 settembre 1992, nota come Maastricht II). [6] L’articolo 11 della Costituzione prevede, infatti, che il Presidente della Repubblica, su proposta del Governo durante le sessioni, o su proposta congiunta delle due Assemblee, possa sottoporre a referendum, tra gli altri, i progetti di legge relativi alla ratifica di un trattato che, senza essere contrario alla Costituzione, potrebbero avere incidenza sul funzionamento delle istituzioni. Si ricorda che il 20 settembre 1992, dopo la chiusura delle urne, sessantatre deputati hanno ulteriormente adito il Conseil constitutionnel al fine di chiedere la verifica della conformità della legge di autorizzazione alla ratifica alla Costituzione, sottoposta lo stesso giorno al referendum. Il Conseil, tuttavia, non si è pronunciato nel merito dichiarandosi incompetente a valutare la costituzionalità delle lois référendaires (décision 92-313 DC del 23 settembre 1992, nota come Maastricht III). [7] Il Conseil constitutionel, adito il 4 dicembre 1997, si è pronunciato il successivo 31 dicembre con la décision 97-394 DC. Nella sentenza si affermava che le possibilità di adottare decisioni a maggioranza, al termine di un periodo transitorio, in materia di asilo, immigrazione e attraversamento delle frontiere interne e esterne, si poneva in contrasto con l’esercizio della sovranità nazionale. Sulla decisione, cfr.: Florence CHALTIEL, Commentaire de la décision du Conseil constitutionnel relative au Traité d'Amsterdam, in Revue du marché commun et de l'Union européenne, 1998, p. 73; François LUCHAIRE, Le traité d'Amsterdam et la Constitution, in Revue du droit public, 1998, p. 331 ; Alain PELLET, Le Conseil constitutionnel, la souveraineté et les traités. À propos de la décision du Conseil constitutionnel du 31 décembre 1997 (traité d'Amsterdam), in Les Cahiers du Conseil constitutionnel, 1998-5, p. 114. [8] In precedenza, con la décision 91-294 DC del 25 luglio 1991, il Conseil constitutionnel, adito ai sensi dell’articolo 61, comma 2, della Costituzione, rispetto alla legge di autorizzazione all’esecuzione della convenzione di applicazione dell'accordo di Schengen del 14 giugno 1985, non aveva ritenuto in contrasto con la Costituzione i predetti accordi. Al riguardo, cfr. Philippe WECKEL, La convention additionnelle à l'accord de Schengen, in Revue générale de droit international public, 1991, p. 405; Jacques ROBERT, Les accords de Schengen, in Revue des affaires européennes, 1992, p. 5; Xavier PRÉTOT, La conformité à la Constitution de la loi autorisant l'approbation de la Convention d'application de l'Accord de Schengen, in Revue trimestrielle de droit européen, 1992, p. 187; Brigitte NÉEL, L'accord de Schengen. L'Europe sans frontières intérieures, in Actualité juridique droit administratif, 1991, p. 659; Georges VEDEL, Schengen et Maastricht, in Revue française de droit administratif, 1992, p. 173; François LUCHAIRE, Le Conseil constitutionnel et la souveraineté nationale, in Revue du droit public, 1991, p. 1499. [9] La legge costituzionale n. 2003-267 del 25 marzo 2003 ha integrato il disposto dell’articolo 88-2 stabilendo che la «La loi fixe les règles relatives au mandat d'arrêt européen en application des actes pris sur le fondement du traité sur l'Union européenne». Secondo le conclusioni del Consiglio europeo di Tampere del 15 e 16 ottobre1999, ai sensi delle quali gli Stati membri erano stati invitati a porre il principio del riconoscimento reciproco come fondamento dello spazio giudiziario europeo, è stata adottata la decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d'arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri. Tale decisione è volta a sostituire l’istituto dell'estradizione con un sistema semplificato che impone a ciascuna autorità giudiziaria nazionale di consegnare, a seguito della richiesta avanzata dall’autorità giudiziaria di un altro Stato membro, le persone ricercate ai fini dell'esercizio di un'azione penale, dell'esecuzione di una pena, ovvero dell'esecuzione di una misura di sicurezza privativa della libertà. In vista dell’avvio delle procedure di adeguamento dell’ordinamento nazionale a tale decisione, non essendo possibile la salsine del Conseil constitutionnel – che può essere adito, ai sensi dell’articolo 54 della Costituzione, solo per gli impegni internazionali che necessitano di legge di ratifica, il Primo ministro si avvalse della consulenza del Consiglio di Stato al fine di verificare se la trasposizione della predetta decisione potesse o meno contrastare con principi di carattere costituzionale. Con il parere n. 368-282 del 26 settembre 2002, il Consiglio di Stato rilevando che per numerosi profili la decisione non si poneva in contrasto con la Costituzione, riscontrò tuttavia che l’inclusione dei reati politici tra quelli per i quali trovano applicazione le procedure del mandato era in contrasto con il principio riconosciuto dalla legislazione francese e che ha un fondamento di carattere costituzionale (desumendosi dal Preambolo della Costituzione del 1946), ai sensi del quale l’estradizione è esclusa per tali reati. [10] Sulla sentenza e le problematiche connesse alla ratica del trattato, cfr. Jean-Éric SCHOETTL, La ratification du «Traité établissant une Constitution pour l'Europe» appelle-t-elle une révision de la Constitution française ?, in Les petites affiches, 29 novembre 2004, pp. 3-25 ; Olivier GOHIN, Conseil constitutionnel et Constitution européenne : les trois contradictions, in Semaine juridique (Administration et coll. Terri.), 2004, pp. 1707-1710; Michel VERPEAUX, La voie de la ratification de la "Constitution" européenne est ouverte, in Semaine juridique (J.C.P.), 2004 (52-53), pp. 2348-2351 ; Michel VERPEAUX, Le traité, rien que le traité, in Actualité juridique droit administratif, 2004 (44), p. 2417 ; Paul CASSIA, L'article I-6 du traité établissant une Constitution pour l'Europe et la hiérarchie des normes, in Europe (Juris-Classeurs), 2004 (12), pp. 6-10 ; Anne LEVADE, Le cadre constitutionnel du débat de révision de la Constitution, www.robert-schuman.org , Supplément de la lettre n° 191, (2004) ; Manuel DELAMARRE, Le Conseil constitutionnel et la Constitution européenne, in Lettre de la Fondation Robert Schuman, www.robert-schuman.org. [11] Si ricorda, peraltro, che il paragrafo 2 del citato articolo IV-443 prevede che rappresentanti dei parlamenti nazionali facciano parte della convenzione incaricata di sottoporre, nell’ambito delle procedura di revisione ordinaria, il testo di modifiche alla conferenza intergovernativa. [12] Le risoluzioni parlamentari, secondo quanto asserito dal Conseil Constitutionnel (decisione n. 9-314 DC del 17 dicembre 1992), non rivestono natura vincolante. Sull’effettiva (ed insoddisfacente) applicazione della norma costituzionale vigente, cfr. Hubert HAENEL Rapport d’information, fait au nom de la délégation pour l’Union européenne, sur les conséquences constitutionnelles des dispositions relatives aux parlements nationaux figurant dans le traité établissant une Constitution pour l’Europe (n. 36) [13] In questo senso, come noto, è la decisione n. 59-2 DC del 17 giugno 1959, relativa al regolamento dell’Assemblea nazionale, agli albori della V Repubblica. La decisione escludeva la possibilità per l’Assemblea nazionale di adottare risoluzioni in quanto tendente «à orienter ou à contrôler l'action gouvernementale [et] leur pratique serait contraire aux dispositions de la Constitution qui, dans son article 20, en confiant au Gouvernement la détermination et la conduite de la politique de la Nation, ne prévoit la mise en cause de la responsabilité gouvernementale que dans les conditions et suivant les procédures fixées par ses articles 49 et 50». Conclusivamente, affermava il Consiglio costituzionale «les articles du règlement de l'Assemblée nationale […] relatifs à la procédure législative et au contrôle parlementaire, ne peuvent, sans atteinte à la Constitution, assigner aux propositions de résolution un objet différent de celui qui leur est propre, à savoir la formulation de mesures et décisions relevant de la compétence exclusive de l'Assemblée, c'est-à-dire les mesures et décisions d'ordre intérieur ayant trait au fonctionnement et à la discipline de ladite Assemblée, auxquelles il conviendrait éventuellement d'ajouter les seuls cas expressément prévus par des textes constitutionnels et organiques». [14] L’emendamento è stato presentato insieme ai deputati Hervé de Charette (UMP), già ministro degli esteri, e al relatore Roland Blum (UMP). Quest’ultimo aveva già presentato nel mese di dicembre una proposta di legge costituzionale sulla stessa materia (n. 1985). [15] cfr. Compte rendu de la Commission des affaires étrangères, 11 gennaio 2005, p. 3 e ss., nonchè l’Avis présenté au nom de la Commission affaires étrangères sur le projet de loi constitutionnelle n. 2022, par M. Roland Blum (in http://www.assemblee-nat.fr). [16] cfr. Voeux à la presse, 11 gennaio 2005, in http://www.premier-ministre.gouv.fr/ . [17] cfr. l’intervista Jean-Louis Debré : "Le projet de traité constitutionnel ne fonde pas une Europe supranationale", comparsa su Le Monde, 7 gennaio 2005. [18]L’articolo 88-4, primo paragrafo, prevede, dunque, che:«Le Gouvernement soumet à l’Assemblée nationale et au Sénat, dès leur transmission au Conseil de l’Union européenne, les projet d’actes législatifs européens ainsi que les autres projet ou proposition d’acte de l’Union européenne comportant des dispositions qui sont du domain de la loi. Il peut également leur soumettre les autres projet ou proposition d’actes ainsi que tout document émanant d’une institution européenne». [19] A partire dal dicembre del 1992 la Commissione ha presentato una relazione annuale al Consiglio europeo sull'applicazione dei principi di sussidiarietà e proporzionalità, definiti dall'articolo 5 del trattato. Nel 1993 è stato adottato un accordo interistituzionale sulle procedure di attuazione del principio di sussidiarietà, e successivamente, nel 1997, uno specifico protocollo sull'applicazione dei principi di sussidiarietà e proporzionalità è stato allegato al trattato di Amsterdam. [20] È stata anche eliminata un’ambiguità lessicale presente nell’articolato presentato dal Governo in relazione alla seconda facoltà prevista dall’articolo in commento; nel testo approvato dall’Assemblea nazionale si rinvia espressamente ad una disciplina regolamentare specifica per presentare ricorso dinanzi alla Corte di giustizia. [21] Spunti sulle norme regolamentari che dovranno essere adottate sono contenuti nel Rapport d'information déposé par la Delegation de l'Assemblee Nazionale pour l'Union europeenne, sur l'application du principe de subsidiarité, predisposto dai deputati Jérôme LAMBERT et Didier QUENTIN (n.1919, 19 novembre 2004). [22]cfr. Rapport fait au nom de la Commission des lois constitutionnelles, de la législation et de l’administration générale de la République sur le projet de loi, par M. Pascal Clément,depositata il 19 gennaio 2004, in http://www.assemblee-nat.fr/12/rapports/r2033.asp. [23] L’articolo I-58 del trattato stabilisce che gli accordi di adesione debbano essere ratificati, conformemente alle rispettive norme costituzionali, da tutti gli Stati membri dell’Unione e dallo Stato interessato. La mancata ratifica da parte anche di un solo Stato comporta, pertanto, il blocco della procedura di adesione e la necessità di una ri-negoziazione del trattato di adesione. [24] Le eventuali “perplessità” sulle nuove adesioni da parte degli Stati membri possono essere, evidentemente, manifestate anche nelle fasi procedurali che precedono la ratifica dei trattati di adesione. L’articolo I-58, paragrafo 2, del trattato prevede, infatti, che le domande di adesione all’Unione siano trasmesse al Consiglio dei ministri e che il Parlamento europeo e i parlamenti nazionali siano informati di tale domanda. Successivamente, il Consiglio dovrà deliberare all’unanimità, previa consultazione della Commissione e previa approvazione del Parlamento europeo, che si pronuncia a maggioranza dei membri che lo compongono. Le condizioni e le modalità dell'ammissione formeranno successivamente l'oggetto di un accordo tra gli Stati membri e lo Stato candidato. [25] Nel corso dei lavori parlamentari, i deputati socialisti e tra questi Floch hanno affermato che il referendum obbligatorio non è un principio che debba essere introdotto in Costituzione e che la sua previsione risponde esclusivamente a ragioni di opportunismo politico. [26] Nella citata relazione predisposta dalla commissione parlamentare competente, tuttavia, si evidenzia come la predetta previsione consenta, in relazione a ciascuna adesione, lo svolgimento di un dibattito popolare approfondito, p. 35. Considerazioni positive sono contenute anche nell’Avis, reso dalla Commissione affari esteri, p. 44-45. [27] In occasione della conferenza stampa del 17 ottobre 2003, al termine del Consiglio europeo di Bruxelles, Chirac alla domanda se fosse o meno favorevole – analogamente alla posizione espressa dal Primo ministro – ad una ratifica per via referendaria della Costituzione europea rispondeva « c’est une question qui n’est pas d’actualité. Une telle décision ne pourra être prise qu’après la signature du nouveau traité en fonction de son contenu et, en toute hypothèse, après l’entrée définitive des nouveaux participants à l’Union européenne, c’est-à-dire après le 1er mai 2004. C’est donc, je le répète, une question qui n’est absolument pas d’actualité.Nous sommes aujourd’hui dans le temps de la négociation. Et nous verrons quel sera l'accord final sur le traité constitutionnel. Je vous signale qu'en toute hypothèse, j'ai l'intention, compte tenu de l'importance de ce sujet pour l'Europe et pour la France, d'inviter les responsables politiques, des partis politiques représentés au Parlement pour, non pas discuter de ce sujet, mais pour informer les partis politiques, pour les consulter aussi sur le déroulement de la conférence intergouvernementale. Je leur exposerai à cette occasion les positions que la France a retenues, les objectifs que nous poursuivons au sein de la CIG. Je souhaite que ces consultations puissent intervenir avant la fin de ce mois. Le gouvernement, par ailleurs, tiendra le parlement informé de l'évolution des négociations». [28] cfr. Voeux aux français de Monsieur le Président de la République, 31 dicembre 2004. [29] cfr. Voter Chirac ?, 22 novembre 2004, in http://constitution.blog.lemonde.fr/constitution/2004/11/ [30] Numerose personalità della gauche francese e la Fondation Copernic, il 19 ottobre 2004, hanno dato vita ad un’ iniziativa contro la ratifica alla Costituzione europea, sottoscrivendo il cosiddetto l’Appel des 200. [31] « Dans le débat européen, comme je m’y suis engagé, le Gouvernement informera et expliquera comme il le doit. Je ferai, pour ma part, ce que je dois faire, comme les autres chefs de gouvernement, comme Gerhard Schroeder, ou comme Tony Blair, ni plus, ni moins. Les différents sondages comparés ne m’incitent pas à penser autrement. Ma conviction européenne n’est pas clandestine. Elle est suffisamment forte pour ne pas craindre le partage. Je souhaite une campagne ouverte, pluraliste et non partisane ». (cfr. discorso del Primo ministro, Voeux à la presse, 11 gennaio 2004, in http://www.premier-ministre.gouv.fr/). [32] Lo stato delle procedure di ratifica può essere consultato nel Sito Internet dell’Unione europea (in:http://europa.eu.int/futurum/ratification_en.htm). [33] In occasione dell’esame alla Camera, conformemente a numerosi precedenti, il Presidente della Camera ha dichiarato inammissibili tutti gli emendamenti presentati in quanto volti a subordinare la ratifica da parte del Presidente della Repubblica ad una esplicita dichiarazione – con riferimento alla costruzione dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia, alla cooperazione giudiziaria in materia penale – nel senso di escludere che le disposizioni del trattato possano consentire “regressioni” nell’applicazione delle normative nazionali poste a tutela dei diritti fondamentali, ovvero a prevede clausole interpretative nel senso che il Trattato e agli atti da esso derivati non possono determinare una riduzione delle garanzie relative ai diritti dell'uomo e alle libertà fondamentali previste dalla Costituzione italiana. Sul tema, cfr. Vincenzo LIPPOLIS, La Costituzione italiana e la formazione dei trattati internazionali , Bologna, 1989, in particolare p. 149 e ss. e dello stesso Autore, Parlamento e potere estero , in Il Parlamento repubblicano (1948-1998) , a cura di Silvano LABRIOLA, Milano, 1999, p. 544. Con riferimento al voto finale del disegno di legge di ratifica, si ricorda che alla Camera dei deputati, lo scorso 25 gennaio, hanno votato sì 436 deputati, 28 hanno votato no e 5 si sono astenuti. |
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