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In corso di pubblicazione nella rivista Jus

Integrazione sociale, “verita’” costituzionali e pluralismo religioso

di Vincenzo Baldini
(Professore ordinario di diritto costituzionale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli studi di Cassino)

1. Premessa.

In un interessante libro uscito lo scorso anno (2005), un noto costituzionalista tedesco, richiamandosi, in un discorso generale sulle differenze culturali esistenti all’interno della società occidentale, al modo di comprendere il rapporto tra uomo e donna esistente, rispettivamente, nel modello culturale islamico ed in quello occidentale, ha posto con disarmante lucidità l’interrogativo perché mai chi appartenga ad una tra le più importanti culture mondiali debba decidere di integrarsi nella cultura occidentale che, non avendo ai suoi occhi un futuro ed avendo, anzi, smarrito ogni idea del trascendentale, sembra destinata storicamente ad andare incontro alla sua fine [1]. Tale interrogativo si pone al fondo del problema relativo alle obiettive difficoltà che incontra il processo di integrazione sociale nelle comunità occidentali con riguardo, in particolare, alle cd. “nuove” minoranze religiose, le quali sovente trovano espressione nelle molteplici questioni che si pongono all’esame dei giudici, costituzionali e di merito, riconducibili in ultima analisi ai connotati della libertà religiosa e di coscienza, ritenuta la radice di tutti i diritti fondamentali [2]. Ancor più la delicatezza di tale problematica balza all’evidenza, se si tiene conto che con tale libertà interferiscono -a volte anche in modo drammatico- interessi legati, in ultima analisi, alla preservazione dell’esistenza stessa dello Stato, quali, ad es., la tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, ormai continuamente minacciata dall’azione di un terrorismo internazionale che si prospetta di matrice religiosa.   

In un tale contesto magmatico, in cui peraltro sembra ancora far difetto il consolidamento di criteri obiettivi di giudizio nella decrittazione di alcuni valori, come la neutralità dello Stato, direttamente e funzionalmente correlati alla portata di certi diritti, come, appunto, la libertà di coscienza e religiosa, nonché più in generali i cd. diritti culturali, di particolare interesse, anche dal punto di vista dell’analisi scientifica, si mostra il lavoro della giurisprudenza che nei vari ordinamenti statali europei ed a livello sopranazionale è impegnata nello sforzo di precisare un contenuto omogeneo di siffatti valori e diritti a cui possa rapportarsi, in ultima analisi, ogni questione relativa all’esercizio degli stessi. In particolare, molto dibattuta appare, ora, la questione relativa all’ostensione di simboli religiosi, come la croce o il velo islamico, assunta, per un verso, quale espressione di libertà costituzionalmente garantita, per un verso, invece, ritenuta in contrasto con il principio di neutralità dello Stato o comunque, ostativa del processo di integrazione sociale. Al riguardo, peraltro, anche la Corte europea dei diritti dell’uomo ha avuto modo di pronunciarsi (sentenza del 15.2.2001), nello specifico per quanto attiene alla possibilità di proibire l’utilizzo di simboli religiosi in luoghi pubblici, ribadendo, nell’occasione, come, nelle società democratiche, la libertà religiosa possa essere in generale soggetta a limitazioni allo scopo di operare un equo bilanciamento degli interessi concorrenti.  

2. La garanzia delle libertà fondamentali nello Stato costituzionale di diritto.

Il riferimento da cui necessariamente prende le mosse ogni discorso è quello dello Stato costituzionale di diritto, del suo significato storico e della sua portata ‘romantica’, riflesso del substrato culturale occidentale che, nelle società multiculturali, sembra sempre più  determinarsi secondo connotazioni specifiche, in particolare nel campo dei diritti di libertà [3]*.

Che al riconoscimento di questi ultimi abbia corrisposto in modo coevo l’affermarsi dell’istanza democratica è un dato che non richiede qui un’analisi specifica [4]; esso, infatti, si rivela nello sviluppo dell’esperienza storica, contrassegnata dal cammino quasi sincronico dell’istanza libertaria con quella democratica. La nascita dello Stato liberale di diritto realizza il primo passo verso un ordine giuridico contrassegnato dal riconoscimento di diritti fondamentali del cittadino, assunti come inviolabili nei testi costituzionali, a cui succede, poi, l’avvento degli ordinamenti liberal-democratici del II dopoguerra, punto finale di approdo di un processo politico-istituzionale nel quale la persona è assunta quale termine prioritario di riferimento di tutta l’esperienza giuridica [5].

In questo progressivo maturare dell’istanza personalista, l’avvento di Costituzioni rigide e pluraliste realizza qualcosa di più della stabilizzazione di un assetto organizzativo funzionale all’equilibrio dei poteri ed alla garanzia dei diritti di libertà. Nella solennizzazione di un quadro di “valori” fondamentali le stesse rivelano l’aspirazione ultima alla realizzazione di un’istanza di Giustizia fondata sulla razionalità degli equilibri tra interessi concorrenti e mirata ‘all’uomo’ nella sua pienezza.

L’apprezzamento del valore della dignità quale postulato ontologico dell’intero ordinamento giuridico, attributo naturale dell’uomo riconosciuto nella sua complessa realtà di persona [6]. è la sintesi di un riconoscimento convenzionale all’interno della comunità sociale che ne rivela la fondamentale matrice culturale ed identitaria, dalla quale, come attraverso un ars maieutica, sono derivati gli altri valori comunitari e tutti i diritti individuali. Con specifico riguardo alla libertà di coscienza e religiosa, la connessione con l’attributo della dignità umana il cui fondamento –come si legge in alcuni documenti della Chiesa cattolica- non tanto si fa risiedere in una “disposizione soggettiva” della persona, nella sua facoltà cioè di discernere ed apprezzare ciò che sia o costituisca per sé un valore capace di orientare le scelte di vita  bensì nella sua stessa natura [7], si rende del tutto evidente. Ciò  non esclude, naturalmente, che come ogni libertà anche quest’ultima acquisisca un significato positivo e caratterizzante l’ordinamento giuridico statale attraverso la sua regolazione in base a norme giuridiche, affinché, nell’esercitare i propri diritti, i singoli esseri umani e i gruppi sociali “in virtù della legge morale” siano tenuti ad avere “riguardo tanto ai diritti altrui quanto ai propri doveri verso gli altri e verso il bene comune …” [8].

Dunque, una libertà la cui latitudine di esercizio non può non essere sottoposta a limiti in funzione della preservazione di “interessi” concorrenti, comunque funzionali alla realizzazione del Bene supremo della Giustizia.

Da quanto detto, appare altresì evidente come tanto l’esaltazione dell’istanza personalistica, in generale, quanto, in particolare, la garanzia di una tutela positiva apprestata dall’ordinamento ai diritti della persona non possa logicamente non rivelarsi come un corrispondente, sul piano giuridico-istituzionale, delle matrici etico-culturali che connotano le comunità statali europee [9]. Ciò vale, peraltro, a conformare anche l’ermeneutica costituzionale, mettendo a nudo, per altro verso, i limiti di una teoria “pura” del diritto alla quale, in via di principio, siffatta relazione risulta estranea.

La consapevolezza che da siffatto intreccio possa attingersi il senso proprio della norma appare, in definitiva, come la risultante di una naturale contingenza, storica e culturale, degli imperativi costituzionali che, nella sintesi di una teoria dei valori, esprimono i termini di una relazione dinamica tra interessi pluralistici e fondamenti culturali di una determinata società statale, la quale si propone, al tempo stesso, come la  Weltanschauung dell’ordinamento statale.

3. La “questione” del pluralismo religioso.

La libertà di coscienza e di religione rientrano, in particolare,  tra quelle che hanno concorso ad una concettualizzazione in senso universalistico dei diritti dell’uomo, di cui lo Stato costituzionale di diritto si rende in primo luogo garante. Esse costituiscono cardini di sviluppo della persona, connotazioni della sua particolare essenza ontologica, come si evince tra l’altro da importanti Trattati di diritto internazionale [10].

Sotto il profilo istituzionale, la libertà religiosa può comportare, da parte dello Stato, tanto l’opzione verso un modello separatista nei confronti del fenomeno religioso e delle sue espressioni organizzative (Trennungprinzip) quanto, invece, un assetto ispirato ad un principio di cooperazione [11].

Con riferimento specifico all’ordinamento italiano, le norme che rivelano il carattere neutro o laicista dello Stato (artt. 8, 19 e 20 Cost.) -quantunque a tale qualificazione non corrisponda una univocità di significato, anche in ragione delle diverse vicende storiche che, nei singoli ordinamenti, ne hanno delineato i contenuti [12] - non alludono certo ad un disinteresse dell’autorità pubblica verso la religione [13]. Può dunque ribadirsi, evocando una nota dottrina, che neutralità “non significa che la Costituzione …  rinunci ad ogni vincolo di valori, ad ogni vicinanza ad un sistema di interpretazione dei valori” [14]. Neutralità, pertanto, non denota “..disinteresse o fredda indifferenza”, non si rappresenta come “l’istituzionalizzazione dell’affetto antireligioso” [15]. In quanto rientrante tra i fattori di formazione non soltanto delle coscienze individuali ma anche della cultura nazionale, il fenomeno religioso non può essere collocato dal nostro ordinamento del tutto all’esterno delle dinamiche di integrazione sociale, delle quali, anzi, storicamente costituisce -insieme alla razza ed alla lingua- uno dei principali vettori [16]. Esso, peraltro, è risultato elemento rilevante anche ai fini dell’ instaurarsi di un ordinamento democratico [17]. Non a caso, perciò, la Corte costituzionale ha sottolineato la natura di “bene costituzionalmente rilevante” del sentimento religioso, risultante dal coordinamento degli artt. 2, 8 e 19 Cost. [18].

La sostanza dello Stato neutrale non si risolve, allora, nel garantire ad ogni cittadino la libertà di coscienza nonché, alle singole confessioni e chiese la “piena libertà di culto” [19], in una posizione di par condicio non soltanto degli individui ma anche di tutte le confessioni di fronte allo Stato [20]. Nemmeno i contenuti della libertà di religione possono esaurirsi, sul piano individuale, nella facoltà di ciascuno di professare liberamente la propria fede religiosa, come anche di astenersi da ogni professione di fede o, infine, di impedire lo svolgimento di attività ispirate a convincimenti religiosi che risultino tuttavia pregiudizievoli per la libertà altrui. Tali profili si rappresentano, infatti, come integrati nei contenuti di siffatta libertà (art.19 Cost.), che anche la Chiesa, dopo alcune originarie incertezze [21], ha finito per riconoscere come “diritto primario e inalienabile della persona umana (corsivo mio: n.d.r.)” [22]

Gli stessi, tuttavia, offrono la prospettiva di una tutela ‘parziale’ che investe unicamente il piano della libertà “negativa” (Abwehrrecht), risvolto del diritto di difesa da condotte del potere pubblico intese a pregiudicarla * che tuttavia si combina con una tutela anche positiva, comprendente un impegno attivo dello Stato (Schutzpflicht) nella direzione di favorire in condizioni di eguaglianza il libero sviluppo della personalità, anche con riguardo ai profili della formazione religiosa.

In definitiva, può dirsi che i contenuti della garanzia connessa al principio di neutralità dello Stato vengono a determinarsi, essenzialmente, alla luce della valenza personalista che anima la Costituzione in ogni sua parte. Così che siffatto principio non esonera le istituzioni pubbliche da politiche atte a favorire le condizioni per il libero formarsi delle coscienze individuali, secondo un principio di parità di trattamento.

Le vicende accadute in Francia, Svizzera [23], Germania (v. infra), Spagna e Inghilterra, ove sovente anche l’istanza unitaria di integrazione, ricondotta, tra l’altro, al vincolo di osservanza dei valori fondamentali dell’ordinamento, è stata invocata quale limite legittimo all’esercizio della libertà religiosa, si mostrano nel complesso sintomatiche di una sostanziale precarietà degli equilibri determinatisi all’interno di Stati che elevano la neutralità a principio supremo della Costituzione [24]; soprattutto in relazione alla latitudine di tale esercizio in rapporto a diritti fondamentali con cui esso può entrare in collisione [25].

Nel contesto di un assetto sociale che si caratterizza in senso pluriculturale [26] il problema dei limiti all’esercizio della libertà religiosa sembra così rappresentare una nuova, insidiosa sfida per lo Stato costituzionale di diritto, per la sua tenuta e solidità rispetto ai processi di trasformazione sociale e culturale che sembrano ispirare approcci nuovi nella rappresentazione dei rapporti tra interessi pubblici e privati, tra lo Stato e la comunità. Ciò, tanto più se si pensa che non sempre i valori costituzionali concordano con i dogmi di un determinato credo religioso, così che la loro violazione e, in qualche caso, il loro assoluto rifiuto in nome della libertà di fede concorrono a generare fratture all’interno della comunità statale con i gruppi culturali minoritari –come quello islamico- alterando così le dinamiche di integrazione sociale in un modo che ne pregiudichi l’ unitaria composizione a cui mira, in ultima analisi, la Costituzione [27].

Ciò rimanda all’interrogativo ultimo, relativo all’esigenza o meno di porre limiti più rigorosi all’esercizio tanto in forma individuale quanto in forma organizzata attraverso le specifiche istituzioni di culto, della libertà religiosa, a protezione di quei principi supremi (solidarietà, eguaglianza, tolleranza, Giustizia) supremi della Costituzione che rappresentano al tempo stesso lo stigma culturale della società civile dello Stato.  

4. 1^ esempio: l’ostensione del crocifisso nelle aule scolastiche: il precedente della legge bavarese e la decisione del Tribunale costituzionale federale tedesco.

Nel contesto europeo occidentale, l’Italia è forse il Paese in cui maggiormente i dogmi della religione cattolica hanno nutrito alle radici la cultura nazionale, riflettendosi poi nel catalogo dei valori costituzionali. Così accanto al “riconoscimento” dei diritti inviolabili della persona, l’affermazione dell’uguaglianza sostanziale come “compito” della Repubblica prevedente il superamento delle diseguaglianze ‘di fatto’, unitamente all’osservanza del valore solidaristico, rappresentano i capisaldi di un modello culturale che senza porre in pregiudizio la fondamentale condizione di parità giuridica e sostanziale tra i sessi, attende a preservare le ragioni del debole, degli “ultimi”, nel perseguimento di un’ideale di “Giustizia” cui debba informarsi l’intera esperienza giuridica.

Nella percezione generalizzata della forza conformatrice esercitata dalla religione cristiana e cattolica come uno dei principali fattori della coesione sociale interna allo Stato, grande attenzione ebbe a destare la nota ordinanza del Tribunale di L’Aquila, emessa come provvedimento di urgenza (ex art. 700 c.p.c.), con cui si ingiungeva al Comune di Ofena la rimozione del crocifisso dalle aule della scuola pubblica elementare [28]. Il grande risalto conferito dall’ opinione pubblica alla de qua era, pertanto, il risvolto del significato che, nel sentimento religioso popolare prevalente, ha il crocifisso come simbolo della fede cristiana e, nel contempo, espressione di un patrimonio culturale indisconoscibile che tende ad identificarsi con la cultura nazionale.  Il “caso” ha finito per interessare anche la Corte costituzionale che, tuttavia, ha dichiarato inammissibile la questione sottoposta al suo esame sul presupposto dell’assenza di un rapporto di specificazione tra le disposizioni contestate [29] -le quali si limitavano unicamente a prevedere l’obbligo di spesa per i Comuni di fornire gli arredi scolastici- e quelle regolamentari richiamate nell’ordinanza di rimessione, rapporto ritenuto dal giudice necessario ai fini dell’oggetto della questione stessa, per giustificare l’impugnazione delle norme legislative “«come specificate» dalle norme regolamentari” [30].

E’ parsa evidente, nell’ordinanza del Tribunale dell’Aquila, una pedissequa assunzione delle argomentazioni poste a base della Kruzifix-Entscheidung del Tribunale costituzionale tedesco [31], con cui quest’ultimo ebbe a rilevare una violazione del principio di neutralità dello Stato federale (artt. 4, comma 1, e 6, comma 2, della Legge fondamentale tedesca) ad opera di una legge del Land della Baviera che sanciva l’obbligatoria presenza del crocifisso nelle aule di scuole pubbliche. Nella circostanza, il Bundesverfassungsgericht precisò i contenuti essenziali della libertà di religione come scelta del singolo, non dello Stato [32], di aderire o meno ad un determinato credo religioso, rinvenendoli, tra l’altro, nella libertà di vivere ed agire secondo i propri convincimenti religiosi [33]. In conseguenza, unicamente al singolo sarebbe spettato di decidere quali simboli religiosi riconoscere e onorare e quali, invece, rifiutare. In relazione allo Stato neutrale, dunque, la libertà religiosa nella dimensione del “diritto di difesa” (Abwehrrecht) valeva a generare un divieto di imposizione al singolo -senza che quest’ultimo abbia la possibilità di sottrarvisi- di agire sotto l’influenza di determinati simboli religiosi [34].

Sul versante positivo (Schutzpflicht), tale libertà determinerebbe un obbligo per lo Stato di assicurare, in favore dei singoli e delle comunità religiose, un ambito di attività  in cui le personalità possono svilupparsi alla luce dei rispettivi convincimenti religiosi. Ciò, unitamente alla prestazione di una tutela contro aggressioni od impedimenti posti in essere da altri gruppi religiosi [35]. In definitiva, il principio della neutralità statale quale corrispettivo della libertà religiosa configurerebbe, secondo il giudice costituzionale tedesco, la condizione necessaria per la garanzia della pacifica coesistenza tra soggetti e gruppi appartenenti a diverse fedi mentre il principio di eguaglianza è quello che dovrebbe regolare  la condotta statale verso le diverse comunità religiose [36].  Del resto, lo stesso Tribunale costituzionale federale non ha mancato di sottolineare, nella circostanza, la forza simbolica del crocifisso come emblema della religione cristiana, ritenendola peraltro del tutto preponderante su quella relativa all’apparire, il primo, anche come espressione della cultura occidentale. Coerentemente, lo stesso giudice ebbe a rilevare il vizio di legittimità della legge bavarese nel fatto che imponeva la presenza del crocifisso in tutte le aule scolastiche, costringendo così gli studenti di altre fedi religiose o aderenti a nessuna fede di subire imperativamente la presenza del simbolo religioso all’interno della sede ove si realizzava la sua formazione [37].

Le motivazioni addotte a quest’ultimo riguardo dal Bundesverfassungsgericht sono apparse, tuttavia, poco convicenti se si pensa alla dimensione più latamente culturale e identitaria che, all’interno di un ordinamento statale, assumono, in generale, la religione e i suoi simboli, oltre a quella individuale inerente all’intima coscienza dell’uomo [38]. Essa si atteggia pertanto a fattore primario del processo di integrazione/ all’interno della comunità statale [39], in grado di conformarne, in ultima analisi, la Weltanschauung che si riflette nel catalogo dei valori costituzionali. In particolare, è parsa mancare, nelle argomentazioni di quella Corte, un’adeguata considerazione del ruolo formativo che la religione cristiana ha avuto ai fini della caratterizzazione delle matrici culturali dell’Europa * e del complesso delle tradizioni costituzionali comuni agli ordinamenti europei *. In questo comporsi dell’identità comunitaria la primazia della persona ha rappresentato il punto ultimo di convergenza degli interessi pubblici compresi all’interno dell’ordinamento statale, la “verità” incontestabile delle Costituzioni democratiche dei Paesi europei, stigma etico e culturale del ‘sentire comune’ che anima i popoli degli Stati europei ed informa i rispettivi assetti ordinamentali.

La pretesa all’esercizio di una libertà religiosa che legittimi perfino il rifiuto di quei valori costituzionali disconoscendone ogni radicamento etico, contrapponendovi, anzi, una diversa Weltanschauung che postuli inevitabili collisioni con questi ultimi, finisce allora fatalmente per rappresentare una contradictio in adjecto, battendo in breccia il presupposto che le libertà costituzionali sono diritti riconosciuti e garantiti  dai singoli ordinamenti, secondo la dimensione per essi dettata dalla Costituzione. Anche nella prospettiva minima della libertà negativa, dunque, tali diritti non possono che ricevere tutela in quanto e nella misura in cui gli stessi risultano integrati nel novero dei valori fondamentali dell’ordinamento giuridico statale, dunque, come parti di un tutto che si rivela nel complesso degli imperativi sostanziali di una Costituzione. Quantunque non debba necessariamente aderirsi alla prospettiva che qualifica tali libertà come il ‘corrispettivo’ di un rapporto che postuli la generale previa adesione all’impianto complessivo delle verità costituzionali, non può mancare, a presupposto per l’esercizio della libertà religiosa anche da parte di minoranze religiose organizzate, un minimo di osservanza e di rispetto verso tali verità [40], condizione necessaria a non pregiudicare lo sviluppo del processo di integrazione sociale che configura una funzione tipica delle Carte costituzionali [41].

In tale misura, il rispetto da parte delle suddette minoranze dei valori fondamentali e, così, delle matrici etico-culturali da cui si genera l’unità dello Stato non può essere soltanto una facoltà ma realizza la condizione essenziale indefettibile per uno sviluppo ‘sostenibile’ del pluralismo culturale, uno sviluppo cioè che alla lunga non giunge a porre in pericolo la stessa unità statale. Insomma, sia che l’articolarsi del pluralismo anche in questo settore solleciti l’assecondamento di un’esigenza di “pratica concordanza” [42] (K.Hesse) nella dialettica tra soggetti nonché tra le diverse comunità religiose presenti sul territorio, sia, invece, che esso sottenda la struttura della comunità statale, diritti di libertà ed osservanza delle verità costituzionali si propongono, in tale contesto, come un distico funzionale a garantire lo sviluppo dell’ ordinamento giuridico statale senza mai pregiudicarne l’esistenza.

Come accennato, la profonda compenetrazione tra sentimento religioso, patrimonio culturale e sistema dei valori costituzionali nell’ordinamento italiano balza all’evidenza ed, anzi, si presenta con connotazioni più marcate in ogni caso che negli ordinamenti di altri Paesi europei. La Costituzione stessa, come riflesso di siffatta peculiarità sostanziale nei rapporti tra le diverse religioni –cristiana, ebraica, islamica-  ha inteso sottolineare anche la differenza di situazione giuridica, rispettivamente, nella regolazione dei rapporti tra lo Stato e la Chiesa cattolica (art.7 Cost.), ed il primo ed i culti ammessi, declinandola secondo un piano di “uguale libertà, ma non di identità di rapporti” [43]. Tanto non osta, sul piano costituzionale, a che l’ordinamento giuridico possa considerare in maniera differente le diverse confessioni in ragione della “loro diversa rilevanza nella comunità statale” senza tuttavia trasmodare in una “limitazione della libertà di alcuna di esse” [44]. Anche in ragione di ciò, era apparso subito non proprio congruo l’appiattimento del Tribunale di L’Aquila sulle argomentazioni esposte nella citata decisione del Bundesverfassungsgericht, senza prestare alcun riguardo, nell’apprezzamento della condotta delle istituzioni scolastiche [45], al dato reale del profondo radicamento della religione cattolico-cristiana nelle matrici etico-culturali e sociali del Paese [46]. Valorizzando adeguatamente quest’ultimo aspetto e, così, la innegabile valenza culturale ed identitaria assunta in generale dai simboli della religione cristiana, la quaestio della presenza del crocifisso nelle aule scolastiche avrebbe potuto essere risolta pure nel giudizio provvisorio con un esito del tutto differente.

La percezione del fattore religioso quale “variabile dipendente” dei processi culturali delle società pluraliste non potrà non apparire, allora, come intrinsecamente limitata dalla necessità di preservare i fattori di riconoscimento della comunità statale così come l’ordine politico-costituzionale, soprattutto la integrità dei valori che animano il patto costituzionale e sono a base della pacifica convivenza civile all’interno dello Stato. Alle istituzioni spetta di disinnescare tali conflitti, allargando lo spazio della libertà senza, tuttavia, comportare il sacrificio della identità storica e culturale della comunità statale [47].

5. 2^ esempio: l’ostensione di simboli religiosi negli uffici pubblici e nei luoghi privati.

La questione del crocifisso adombra, in ogni caso, la generale difficoltà a definire  uno stabile bilanciamento tra istanze concorrenti, connesse all’esercizio della libertà religiosa e di coscienza in un contesto sociale che, tuttavia, sembra recedere nella sua originaria omogeneità culturale ispirata al postulato ontologico della dignità umana [48].  Di ciò, costituiscono ulteriori sintomi le ulteriori numerose questioni che, in materia, sono approdate di recente all’esame prima dei giudici di merito, quindi delle Corti costituzionali di altri ordinamenti europei.

Così, in una decisione del 2004 l’Alta Corte londinese ha stabilito che le studentesse di religione musulmana non possono presentarsi a lezione in Dschilbab, un abbigliamento simile ad un abito talare [49]. A sua volta, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha giudicato infondato il ricorso di una studentessa turca volto a contestare il divieto di studiare nelle Università statali indossando il classico copricapo islamico (Kopftuch) [50]. Di contro, il Tribunale costituzionale tedesco accogliendo una Verfassungsbeschwerde di un’insegnante di religione islamica contro il suo licenziamento susseguente al fatto che la stessa, nello svolgimento dell’attività didattica, indossava siffatto copricapo [51], ha precisato come, allo stato, siffatto divieto mancasse di una base legislativa idonea a giustificarlo [52]. Tale decisione, peraltro, ha preceduto di poco quella emessa dallo stesso Tribunale in cui, respingendosi le motivazioni addotte dal ricorrente –un importante centro commerciale- a sostegno della richiesta di annullamento di una precedente decisione del giudice di merito che invalidava il licenziamento di una commessa ‘giustificato’ in base al fatto che la ricorrente anche durante le ore di lavoro indossava il velo islamico. Nella circostanza, l’organo di giustizia costituzionale ribadiva come anche la libertà (positiva) di professare la propria fede incontrasse limiti qualora il suo esercizio venisse a collidere con diritti fondamentali di appartenenti ad un’altra opinione o credo religioso [53].  

In fine, il Bundesverfassungsgericht ha accolto una Verfassungsbeschwerde promossa da una donna di fede islamica contro un provvedimento di espulsione dall’aula emesso dal giudice di merito, durante un processo penale, nell’esercizio dei suoi poteri di polizia, in conseguenza del fatto che la ricorrente, dopo essere stata avvisata dell’esistenza di un divieto di indossare nell’aula di Tribunale il classico copricapo islamico, persisteva nella condotta vietata [54].  Nel ritenere il provvedimento di espulsione in contrasto con l’art.3, comma 1, GG, in combinato disposto con l’art.4, commi 1 e 2, GG, sotto il profilo della condotta arbitraria e, perciò, irragionevole, la Corte federale ha precisato come il fatto di indossare un copricapo od un velo all’interno del Tribunale non equivale sempre ad esprimere un disprezzo nei confronti di altre persone presenti e, perciò, non sempre rappresenta una condotta “incivile”. Ciò, tanto più che –come nel caso de quo- esso è simbolo di fede religiosa e, dunque, il fatto di indossarlo si configura come esercizio di libertà religiosa [55].

6. Laicità dello Stato come principio fondamentale della Costituzione e libertà religiosa come fondamento dei diritti dell’uomo.

L’intreccio sistemico tra connotati istituzionali e sostanziali (principio di neutralità, libertà di coscienza e di religione) dell’ordinamento giuridico statale mette in evidenza un quadro di riferimento complesso in cui risalta, a livello costituzionale, l’adesione a valori, individuali e comunitari intorno ai quali sedimenta la coesione sociale. Tale contesto rappresenta il sostrato culturale e, al tempo stesso, la cornice inviolabile entro la quale necessariamente deve spiegarsi l’esperienza giuridica. Pertanto, anche la risoluzione di conflitti tra diritti di libertà ed altri valori costituzionali non può avvenire che secondo un criterio di ragionevolezza, nel rispetto in ogni caso dei connotati identitari della comunità statale. Al riguardo, vale la pena richiamare ancora una volta l’orientamento della giurisprudenza costituzionale federale tedesca quando ebbe a sottolineare come la Costituzione (tedesca) esige dalle comunità religiose, se non la piena adesione ai valori della cultura occidentale, tuttavia un’ ”accettazione minima” dell’ordinamento pubblico dei valori, id est dei principi fondamentali della Costituzione [56], secondo un principio di reciprocità. Ciò, infatti, vale a garantire, in via di principio, la compatibilità dell’istanza di libertà, nella forma del pluralismo religioso, con il processo di integrazione sociale che la Costituzione persegue come funzione propria e che postula la intangibilità dei valori fondamentali che connotano la società statale. Il carattere pluralistico dell’ordinamento non può prescindere, dunque, dall’esistenza di un denominatore comune che è dato dal reciproco riconoscimento tra i soggetti e dall’osservanza dei valori costituzionali come portato dei connotati etico-culturali dello Stato nazionale. Il mancato riconoscimento o l’ effettiva contestazione di tali valori in nome della libertà religiosa, per l’adesione, cioè, ad una fede che si rendesse portatrice di valori diversi od opposti rischierebbe, così, di pregiudicare l’integrazione sociale favorendo, anzi, la progressiva disarticolazione dell’unità statale  e, con essa, il recedere dell’istanza di solidarietà che vi sottende, della quale non è sufficiente a garantirne l’esistenza il principio comune di libertà.

In quanto il sentimento religioso è fattore integrato nella matrice culturale di un popolo, concorrendo a conformarne lo statuto dei valori, il riconoscimento giuridico dell’esistenza di minoranze religiose non può prescindere dalla contestuale garanzia dell’accettazione dei valori costituzionali che rivelano, in sintesi, l’ideale di Giustizia cui si conforma l’ordinamento dello Stato. Ciò è condizione perchè l’espressione di un pluralismo culturale non implichi in ultima analisi una frammentazione della società attraverso una tirannia della libertà [57].

Si profila, per lo Stato costituzionale di diritto una nuova “sfida dell’integrazione” che ne misura le proprie capacità responsive alla luce dell’incidere di un pluralismo non soltanto di interessi ma anche culturale e ne saggia, perciò, le capacità di coniugare, rispettivamente, libertà individuali e valori comunitari secondo un criterio di razionalità condiviso. Sulla base di siffatta consapevolezza, tramontata ormai la stagione del “patriottismo costituzionale” [58] come denominatore comune dell’integrazione sociale, che postula comunque un’ adesione piena ai valori della Legge fondamentale, occorre ricercare nuove ragioni dell’integrazione stessa. La sostanza di tale sfida sta dunque nella capacità della Costituzione di confermarsi anche per il futuro quale “medio dell’integrazione” [59], favorendo lo svilupparsi di un’esperienza in cui l’istanza pluralista si componga, essenzialmente, secondo un principio organizzatore di libertà. Nondimeno il rispetto delle radici culturali di un popolo e la preservazione dell’ istanza solidaristica quali valori della Costituzione e come collante delle vicende comunitarie all’interno dello dimensione istituzionale nazionale ed europea è condizione imprescindibile delle dinamiche di integrazione delle minoranze nel tessuto sociale e nello sviluppo degli ordinamenti statali.

A tal fine, anche ai giudici di merito spetta di cooperare per l’implementazione e decifrazione della forza responsiva della Costituzione di fronte alla molteplicità degli interessi da governare. Un ruolo centrale in questo quadro, tuttavia, compete ai Tribunali costituzionali ed internazionali, alla capacità di questi ultimi di esprimere di volta in volta giudizi di valore che tengano adeguatamente in conto, bilanciandole le istanze di libertà con le esigenze di integrazione, nel rispetto dell’identità culturale di un popolo e di una comunità statale che non urti con la preservazione del pluralismo  come attitudine di ogni società complessa, ma che si riconduce ad istanze unitarie secondo un quadro di compatibilità necessarie [60].

Nell’inclinazione verso un “pensare possibile” (Möglichkeitsdenken) quale criterio di interpretazione delle Costituzioni liberal-democratiche [61] all’esercizio della libertà religiosa, quantunque non proiettata in una dimensione istituzionale, di necessaria funzionalità rispetto ai compiti dello Stato, resta connaturata un’intrinseca limitatezza, corrispondente alla necessità di assicurare il rispetto della fondamentale matrice culturale  della sottostante Gemeinschaft.         

 


[1]Warum um Gottes willen soll sich der Angehörige einer anderen und vitalen Weltkultur in die westliche Kultur integrieren, wenn diese Kultur ohne ausreichenden Nachwuchs und unter Verlust einer transzendentalen Idee –zumindest aus seiner Sicht- ohnehin ihrem historischen Ende entgegen geht ? Warum soll er sich auf eine von Selbstzweifeln ebenso wie von Überheblichkeit gekennzeichnete Kultur einlassen, wie mit dem forcierten Prozess der Modernisierung einen Großteil ihrer religiösen und sittlichen Fundamente aufgezehrt hat, deren Angebot an Lebenssinn in keinen höheren Werten als dem Umher-Reisen, der Lebensverlängerung und dem Konsum liegt ?“: U.Di Fabio, Die Kultur der Freiheit, München, 2005, p. 50.

[2] Cfr. Al riguardo anche M. Browski, Die Glaubens- und Gewissensfreiheit des Grundgesetzes, Tübingen, 2006, p. 64 (ivi riportando anche la tesi di G. Jellinek).

[3]  Al riguardo, cfr. anche E.-W. Böckenförde, Begriff und Probleme des Verfassungsstaat, ora anche in Id., Staat-Nation-Europa, Frankfurt a.M., 2000, p. 127 ss..

[4] Al riguardo, cfr. ancora E.-W. Böckenförde, Ist Demokratie eine notwendige Forderung der Menschenrechte ?, cit., part. p. 250.

[5]  Del resto, è forse superfluo rilevare come proprio la libertà religiosa sia alla base dello sviluppo del pensiero liberale che affondi le sue radici sia in concezioni di tipo giusnaturalistico (Locke, Kant, Constant), sia, invece, che poggi sul tronco di elementi pragmatici (la concezione utilitarista di Bentham e, poi, di J. Stuart Mill). Nel pensiero kantiano, poi, il senso della libertà quale patrimonio naturale e irretrattabile dell’uomo, conseguenza della sua dignità non vista come valore relazionale e sociale ma concepita come priorità assoluta che lo Stato è chiamato a proteggere e giustificare, porta a configurare il discorso dei limiti come una sorta di valore aggiunto perché fondato su elementi di ragione miranti a determinare la cd. “coesistenza degli arbitrii”. In un contesto di “insocievole socievolezza”, che è la condizione necessaria per favorire il permanente progredire della natura umana, le benefiche tensioni sociali convivono con le libertà naturali proprie di ciascuna persona, in un quadro di compatibilità reso possibile dalla legge generale.

[6] Si veda, al riguardo, anche P. Ricoeur, Il sé come un altro, ….; nonché, Id., Wege der Anerkennung, Frankfurt a.M., 2006, p. 76 ss..

[7] Dignitatis humanae: 07.12.65. “Il contenuto di una tale libertà è che gli esseri umani devono essere immuni dalla coercizione da parte di singoli individui, di gruppi sociali e di qualsivoglia potestà umana, così che in materia religiosa nessuno sia forzato ad agire contro la sua coscienza né sia impedito, entro debiti limiti, di agire in conformità ad essa: privatamente o pubblicamente, in forma individuale od associata” (Cap.I, punto 2). “Gli imperativi della legge divina l’uomo li coglie e li riconosce attraverso la sua coscienza … Non si deve quindi costringerlo ad agire contro la sua coscienza. E non si deve neppure impedirgli di agire in conformità ad essa, soprattutto in campo religioso. Infatti l’esercizio della religione, per sua stessa natura, consiste anzitutto in atti interni volontari e liberi … i quali atti da un’autorità meramente umana non possono essere né comandati né proibiti. … Si fa quindi ingiuria alla persona umana e allo stesso ordine stabilito da Dio agli esseri umani, se si nega ad essi il libero esercizio della religione nella società, una volta rispettato l’ordine pubblico informato a giustizia”. “Creati ad immagine dell’unico Dio e ugualmente dotati di anime razionali tutti gli uomini hanno la stessa natura e la stessa origine. Redenti dal sacrificio di Cristo, tutti sono chiamati a partecipare della stessa beatitudine divina: tutti, pertanto, godono d’una eguale dignità. Catechismo della Chiesa cattolica, par. 1934. Da ultimo, sul punto v. la dotta ricostruzione della categoria della dignità essenzialmente nell’accezione cristiana che fa L. Gormally, La dignità umana: il punto di vista cristiano e quello laicista, sul sito www.academiavita.org.  

[8] Infatti, poiché la società civile ha diritto alla protezione contro i disordini che si possano verificare in nome della libertà religiosa, spetta soprattutto ad essa stessa apprestare le soluzioni normative funzionali ad un’ “efficace difesa dei diritti e della loro pratica composizione a vantaggio di tutti i cittadini”: Dignitatis humanae, cit. Si ritrova, dunque, in tale impostazione, un condensato di presupposti dogmatici di ispirazione liberale e comunitaria che servono da punto di partenza nell’analisi della delicata questione della libertà religiosa nello Stato multiculturale. Soprattutto, vengono in rilievo entrambi i profili della libertà, quello “negativo” –come difesa dall’ingerenza dell’azione pubblica (libertà “da”)  e quello, positivo -che si riconnette, invece, ad un attvità dei poteri pubblici svolta nella direzione della sua tutela (libertà “per” o “attraverso”)- corrispondenti a concezioni diverse del ruolo dello Stato.

[9] J. Habermas, Diritto – Morale – Politica, trad. it. …..

[10] Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino (1789): art. 10; Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (1948): art. 18; Convenzione europea dei diritti dell’uomo (1950): art.9; Carta dei diritti fondamentali dell’UE (2000): art.10.

[11] Cfr., al riguardo, anche J. Kokotte, Laizismus und Religionsfreiheit im öffentlichen Raum, in Der Staat 2005, Band nr. 44, p. 343 ss., part. p. 344 ss.

[12]  Sul punto, v. in particolare, nella dottrina italiana, C. Cardia, voce Stato laico, in E.d.D., vol. XLIII, Milano 1990, p. 875 ss. Nella letteratura tedesca, cfr., tra gli altri, J. Krüper, Die grundrechtlichen Grenzen staatlicher Neutralität, in JöR, 53 N.F. (2005), p. 79 ss., part. p. 82 ss (con riguardo, soprattutto, alla giurisprudenza del Bundesverfassungsgericht sul tema).

[13] In tal senso, v. anche E.-W. Böckenförde, Stellung und Bedeutung der Religion in einer civil society, in Id., Staat – Nation- Europa, Frankfurt a.M., 1999, p. 256 ss., part. p.268 ss.

[14] U. Di Fabio, Die Kultur der Freiheit, cit., p. 173.

[15] Idem.

[16] Sulla natura omogenea di una società come condizione per il buon rendimento di un assetto democratico, cfr. le considerazioni di E.-W. Böckenförde, Ist Demokratie eine notwendige Forderung der Menschenrechte ?, in Id., Staat – Nation- Europa, cit., p. 246 ss..

[17] Così, ancora E.-W. Böckenförde, op. cit., p. 246 ss..

[18] Corte cost., sent. n. 188/75, in Giur. cost., 1975, 1508 ss.;ma, analogamente, v. Già Corte cost., sent. n. 14/73, in Giur. cost., 1973, p. 69 ss (con nota di A. Baldassarre).

[19] Così F. Ruffici, Libertà religiosa e separazione tra Stato e Chiesa, in Id., Scritti minori, I, Milano, 1936, p. 146.

[20] Alla luce di quanto detto, parrebbe ovvio ritenere che l’applicazione del principio di eguaglianza postulerebbe non soltanto una parità di trattamento tra i diversi culti religiosi –ciò che tuttavia nella ns. Costituzione parrebbe affermarsi in modo attenuato, prevedendosi forme di accordi diversi, rispettivamente, tra lo Stato e la Chiesa cattolica (art.7 Cost.), nonché tra il primo e i rappresentanti di culti acattolici (art.8 Cost.)- ma anche tra i cittadini in merito al diritto di professare il proprio credo religioso (libertà positiva), di non professare alcun credo religioso (libertà negativa) e, soprattutto, di non subire turbamenti nella propria sfera intima di convinzioni religiose in seguito a comportamenti delle istituzioni statali.

[21] Si ricorda, infatti, come nel 1864, Pio IX (Enciclica: Quanta cura) ebbe a denunciare l’”..erronea opinione..” -che il Suo Predecessore Gregorio XVI addirittura aveva apostrofato come una follia- “cioè, che la libertà di coscienza e di culto sia diritto proprio di ogni uomo”.

[22] Così anche S.S. Giovanni Paolo II  in un discorso tenuto alle Nazioni firmatarie del Final Act di Helsinki (1980). Più in generale, sul contributo recato dal Cristianesimo allo sviluppo della libertà di religione e di coscienza, v. ancora M. Borowski, op. cit., p. 70 ss.

[23] Con una prima sentenza, il Tribunale federale svizzero ha confermato la decisione del giudice amministrativo che aveva a sua volta annullato un regolamento comunale nel quale si prevedeva l’obbligo dell’esposizione nelle aule di scuole elementari del crocifisso. In un’altra decisione, invece, lo stesso Tribunale aveva sancito la legittimità del divieto imposto ad insegnanti di religione islamica di indossare il classico copricapo. Sul punto, cfr. le considerazioni critiche di V. Pacillo, Decisioni elvetiche in tema di Crocifisso e velo islamico nella scuola pubblica: spunti di comparazione, in Dir. eccl., 1999, p. 210 ss.

[24] Cfr. soprattutto Corte cost., sent. 203/89.

[25] Si prenda il caso dell’ordinamento francese che, in osservanza al principio di laicità dello Stato, definito nei suoi caratteri concreti attraverso una legge del 1905, ha condotto all’approvazione di una legge che vieta a chiunque la possibilità di ostentare simboli religiosi nelle sedi pubbliche.  Per una critica alla visione laicista dello Stato francese, v. per tutti H.-G. Franzke, Frankreich, seine Laizität und Europa, in ZRP, 2003, p. 357 ss.

[26] In tal senso, preferendola all’espressione “multiculturale”, cfr. G. Sartori, Pluralismo multiculturalismo e estranei, Milano, 2000, part. p. 55 ss.

[27] Sul punto, v. E. Denninger, Das allgemeine Gesetz…..

[28] Tale ordinanza è stata successivamente revocata dal Tribunale del merito (19.11.03).

[29] Si tratta degli artt. 156 e 190 del d. lgs. 16.4.1994, n. 297( riguardante, quest’ultimo, l’approvazione del T.U. delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado) sul presupposto che questi, «come specificati», rispettivamente, dagli artt. 119 (e allegata tb. C) del r.d. 26.4.1928, n. 1297 (Approvazione del regolamento generale sui servizi dell’istruzione elementare), e dall’art. 118 del r.d. 30.4.1924, n. 965 (Ordinamento interno delle giunte e dei Regi istituti di istruzione media), costituissero la base legislativa dell’obbligo statale –contestato per violazione del principio di laicità dello Stato- di esposizione del Crocifisso nelle aule delle Scuole elementari e medie; inoltre, era impugnato anche l’art. 676 del d. lgs. 297/94, cit., sul presupposto che a siffatta disposizione –abrogativa di quelle disposizioni contenute nel t.u. che risultassero incompatibili con esso- dovesse ricondursi la permanente vigenza delle norme regolamentari “incrininate”, dopo l’emanazione del citato Testo Unico.

[30] Corte cost., ord. N. 389/2004, ora in G.U. 1^ Serie speciale, n. 49 del 22.12. 2004.

[31] BVerfGE, 93, 1, I, (1995), p. 1 ss., part. p. 15 ss.

[32]Der Staat darf ihm einen Glauben oder eine Religion weder vorschreiben noch verbieten“:BverfGe, 93, 1, I, p. 15.

[33]Insbesondere gewährleistet die Glaubensfreiheit die Teilnahme an den kultischen Handlungen, die ein Glaube vorschreibt oder in denen er Ausdruck findet. Dem entspricht umgekehrt die Freiheit, kultischen Handlungen eines nicht geteilten Glaubens fernzubleiben“:BVerfGE, 93, 1, I, p. 15.

[34]Insofern tntfaltet Art.4. Abs. 1 GG seine freiheitssichernde Wirkung gerade in Lebensbereichen, die nicht der gesellschaftlichen Selbstorganisation überlassen, sondern vom Staat in Vorsorge genommen worden sind“:BVerfGE, 93, 1, I, p. 16.

[35]Art. 4 Abs. 1 GG beschränkt sich allerdings nicht darauf, dem Staat eine Einmischung in die Glaubensüberzeugungen, -handlugen und –darstellungen Einzelner oder religiöser Gemeischaften zu verwehren. Er erlegt ihm vielmehr auch die Pflicht auf, ihnen einen Betätigungsraum zu sichern, in dem sich die Persönlichkeit auf weltanschaulich-religiösem Gebiet entfalten kann (...), und sie vor Angriffen oder Behinderungen von Anhängern anderer Glaubensrichtungen oder konkurrierender Religionsgruppen zu schützen  “:BVerfGE, 93, 1, I, p. 16.

[36] BVerfGE, 93, 1, I, pp. 16 e 17.

[37] Da sottolineare, in tale decisione, è, insieme all’affermazione dell’obbligo dello Stato di assicurare spazi di attività per il libero sviluppo della personalità anche nel campo etico-religioso, la rilevazione del forte impatto che –secondo quel giudice- l’esposizione della croce avrebbe potuto avere sullo svolgimento dell’attività didattica. La Corte costituzionale federale, in effetti, sottolinea come a tale esposizione non si accompagni la coazione di certe condotte o di una determinata identificazione, né essa equivalga ad indirizzare l’attività scolastica secondo certe verità di fede. Nondimeno, l’attività di educazione scolastica non si risolve nel solo apprendimento delle fondamentali tecniche culturali o nello sviluppo delle capacità cognitive di cui ciascuno studente dispone. Molto di più, essa si indirizza anche allo sviluppo dell’impianto emozionale e affettivo degli studenti e, in tale correlazione, la croce verrebbe ad assumere una rilevanza significativa (“Kruzifix-Entscheidung).

[38] Tuttavia, v. sempre E.-W. Böckenförde, Stellung und Bedeutung der Religion in einer civil society, cit., p. 257, secondo cui la libertà di religione intesa soprattutto come diritto fondamentale non “tocca” il profilo relativo al rapporto tra l’Uomo e Dio, ma si indirizza unicamente a protezione del singolo contro l’azione aggressiva di altri uomini o del potere pubblico.

[39] Ibidem, p. 269.

[40] Analoga prospettazione, del resto, sembra sollecitare anche il pensiero di Habermas che, in sintonia con le posizioni di Rousseau e di Kant -in cui l’intima correlazione esistente tra ragion pratica e volere sovrano nella quale si risolve il concetto di “autonomia del soggetto di diritto” conduce ad una interpretazione di senso reciproco della sovranità popolare e dei diritti dell’uomo- tende a rimarcare l’indispensabile intreccio funzionale esistente tra questi ultimi e l’effettivo esercizio del potere democratico. V. ancora J. Habermas, Über den internen Zusammenhang von Rechtsstaat und Demokratie,  ... e, ancora, Id., Lotta di riconoscimento nello stato democratico di diritto, cit., p. 63 ss.

[41] Conforme, tra gli altri, A. Katz, Staatsrecht, 10^ ed., Heidelberg, 1991, p. 45.

[42] Cfr. K. Hesse, Grundzüge des Verfassungsrechts der Bundesrepublik Deutschland, 20^ ed. (1995), p. 317 ss.

[43] Corte cost., sent. n. 125/57, in Giust. Civ., 1958, III, p. 7 ss..

[44] Corte cost., sent. n. 39/65, in Giur cost., 1965, p. 602 ss..

[45] Un esame più compiuto della questione del crocifisso nelle aule scolastiche richiede anzitutto che si proceda ad una ordinata ricostruzione del quadro delle fonti normative  relative alla disciplina del fenomeno, passaggio questo  che per un giurista è pregiudiziale ad ogni presa di posizione nel merito.

In tal senso, il primo riferimento è alle fonti normative che disciplinano tale condotta e che sono da rinvenirsi in due atti regolamentari (il R.D. 30.4.1924, n. 965 –art.118-, per quanto concerne gli istituti di istruzione media; il R.D. 26.4.1928, n. 965 –all. C-, per quanto concerne gli istituti di istruzione elementare). Si tratta evidentemente di atti che postulano la scelta confessionale dello Stato, già intrapresa dallo Statuto albertino, seguito dall’importante Legge Casati del 1859 e poi ribadita solennemente nell’art.1 del Concordato Lateranense dell’11.2.1929.

Tra le successive modifiche recate a tale Concordato con il cd. “Accordo di Villa Madama”, ratificato e reso esecutivo con L. 25.3.1981, n.121, fondamentale, al riguardo, è quella introdotta dal Protocollo Addizionale all’Accordo, con il quale si aboliva espressamente il principio della natura confessionale dello Stato italiano. E’ certamente vero che nei Patti lateranensi nulla è detto in merito alla esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche – e nemmeno la successiva legge 121/85 si esprime sul punto- ma non è meno vero che i due atti regolamentari sopra richiamati avrebbero dovuto intendersi ormai privi di ogni supporto legislativo, pur necessario a legittimarne l’ulteriore vigore. Insomma, venuto meno per mutamento legislativo il ruolo privilegiato per l’innanzi riconosciuto alla religione cattolica, anche i suddetti regolamenti avrebbero potuto intendersi tacitamente abrogati. In ogni caso, agli stessi sarebbe venuto a mancare ogni fondamento legislativo, presupposto necessario per la legittimità di atti normativi di rango sublegislativo (principio di legalità).

[46] Nella circostanza, è parso che il giudice italiano avesse inteso allinearsi senz’altro alla sentenza del Tribunale tedesco nel proclamare la violazione del principio di neutralità dello Stato, rinunciando a quell’ulteriore passaggio dell’operazione interpretativa consistente nell’inquadrare l’evento alla luce della complessiva esperienza storico-culturale di riferimento. Del resto, il senso di riprovevolezza generalmente avvertito dall’opinione pubblica all’indomani di tale decisione, unitamente all’apprezzabile sensibilità espressa dalle rappresentanze islamiche in Italia, che hanno solidarizzato con le istituzioni della Chiesa cattolica e, soprattutto, con i cittadini italiani, sono rivelatori di una generale distonia creatasi tra il common sense e l’autorità giudiziaria che ha adottato la pronuncia. Non può essere sottaciuto, peraltro, che la II Sez. del Consiglio di Stato, in un parere del 1988 (27.4.88, n.63) espresso al Ministro della P.I., aveva sottolineato t come “il Crocifisso o, più semplicemente, la Croce” oltre ogli  significato per i credenti rappresentasse il simbolo generale “della civiltà e della cultura cristiana, nella sua radice storica, come valore universale, indipendente da specifica connessione religiosa (corsivo mio: n.d.r.).” Esso, pertanto, “fa parte del patrimonio storico” del nostro ordinamento, né “..pare, d’altra parte che la presenza dell’immagine del Crocifisso nelle aule scolastiche possa ex sé costituire motivo di costrizione della libertà individuale a manifestare le proprie convinzioni in materia religiosa”.

Nello stesso ordine di idee si era posta anche l’Avvocatura dello Stato (Parere del 16.7.2002) che, nell’occasione, si richiamò anche ad una pronuncia della Corte di Cassazione (III Sez., 13.10.1998) secondo la quale l’esposizione del Crocifisso nelle aree scolastiche non contrasterebbe con il principio di libertà religiosa in quanto tale principio “..collegato a quello di uguaglianza, importa soltanto che a nessuno può essere imposta per legge una prestazione di contenuto religioso ovvero contrastante con i suoi convincimenti in materia di culto, fermo restando che deve prevalere la tutela della libertà di coscienza soltanto quando la prestazione, richiesta o imposta da una specifica disposizione, abbia un contenuto contrastante con l’espressione di detta libertà: condizione, questa, non ravvisabile nella fattispecie”. Seppure la stessa Cassazione, in un obiter interno ad una decisione di poco successiva al precedente evocato (n.499/2000), aveva ritenuto abrogate le più volte citate norme regolamentari prescriventi l’obbligo di apposizione del Crocifisso nelle aule di scuola.

[47] In questa prospettiva, apprezzabile può rivelarsi la soluzione –prospettata sul modello della legge bavarese entrata in vigore il 1.1.1996 (Bayerisches Gesetz über das Erziehungs- und Unterrichtswesen: BayEUG)- di rimettere all’autonomia delle istituzioni scolastiche la decisione in merito all’esposizione del crocifisso condizionandone tuttavia la persistenza all’accertata assenza di contestazioni al riguardo, motivate con ragioni di offesa al sentimento religioso.

[48] Si pensi, oltre alla vexata quaestio della libertà di manifestare con simboli o altri segni distintivi la propria fede da parte di chiunque, al problema della macellazione delle carni secondo regole diverse da quelle generali dettate dal governo europeo al fine di consentirne il consumo a persone di fede islamica Al riguardo, la Corte federale tedesca ha adottato nel gennaio 2002 una importante sentenza riguardante la possibilità della macellazione di animali “senza stordimento” (betäubungslos) (BVerfG, 104, 337): sul punto, v. F. Wittreck, Religionsfreiheit als Rationalisierungsverbot, in Der Staat, 2003, p. 519 ss.

[49] Alta Corte di Londra, sent. del 15.6.2004 come citata in J. Kokotte, Laizismus und Religionsfreiheit im öffentlichen Raum, in Der Staat, 44 (2005), p. 343.

[50] Corte europea dei diritti dell’uomo, ricorso nr. 44774/98 (deciso il 29.6.2004), caso:Leyla Sahin contro Turchia..

[51] BVerfGE, 108, 282 ss. (decisione del 24.9.03).

[52] Le (numerose) critiche a siffatta decisione possono condensarsi nelle argomentazioni esposte nella abweichende Meinung, dei giudici costituzionali Jentsch, Di Fabio e Mellinghoff, basate fondamentalmente sul particolare obbligo di neutralità incombente in chi svolge funzioni pubbliche (Beamten).

[53] BVerfG, 1 BvR 792/03 Rn. 19.

[54] BVerfG, 2BvR 677/05.

[55] BVerfG, 2BvR 677/05, Rn. 19.

[56]Si tratta della decisione del Bundesverfassungsgericht del 19.12.2000 riguardante la pretesa dei “Testimoni di Geova” di essere riconosciuti come corporazione di diritto pubblico  ( BVerfG, 2BvR 1500/97).

[57] Ancora U. Di Fabio, op. ult. cit., p. 179.

[58] Il tal senso, J. Habermas, Faktizität und Geltung, 4^ ed., 1994, p. 642 ss..

[59] Così, J. Isensee, Tabu im freiheitlichen Staat, Padeborn-München-Wien.Zürich, 2003, p. 48.

[60]  In tal senso è anche la pronuncia del 15.2.2001 della Corte europea dei diritti dell’uomo, Sez. II.

[61]  Cfr. P. Häberle, Demokratische Verfassungstheorie im Lichte des Möglichkeitsdenkens, in AöR 102/1 (1977), p. 27 ss.

(30 ottobre 2006)


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