C’era una luce speciale che attraversava Lorenza Carlassare. Chiunque la incontrasse, anche per breve tempo, non poteva non notarla. Una luce fatta di intelligenza, cultura, amore per le persone e per la vita. Lorenza andava incontro alla vita con gioia e curiosità. Lo ha fatto fino all’ultimo. Ma al tempo stesso non temeva la morte, perché la sua fede profonda le consentiva di non vacillare e di coltivare la speranza.
Non è possibile qui ricordare nei dettagli il suo immenso contributo di studiosa. Nelle sue ricerche si è misurata con tutti i grandi temi del diritto costituzionale. Stato di diritto, sovranità popolare, rappresentanza politica, principio di legalità, riserva di legge, rapporti tra le fonti, forma di governo, sindacato di costituzionalità, protezione dei diritti fondamentali, nelle loro diverse declinazioni e nei loro intrecci, sono stati al centro della sua produzione scientifica, punto di riferimento irrinunciabile per chi intenda accostarsi alla nostra disciplina. Con un filo rosso sempre riconoscibile, da lei stessa individuato nell’intervista rilasciata agli allievi con cui si aprono gli Scritti in suo onore pubblicati nel 2009 (a cui farò spesso riferimento e dalla quale è tratta anche la frase usata nel titolo): «in ogni tema credo di essere sempre riuscita a scorgere il risvolto latamente politico, il suo impatto concreto»; «quando mi rileggo, mi accorgo che l’impalcatura dei miei lavori è sempre e soltanto una: l’analisi critica del potere. Io, in fondo, detesto il potere. Amo istintivamente lo Stato di diritto e il costituzionalismo perché avverto che se è vero che il potere è necessario, è comunque importante ostacolarlo, limitarlo, tagliargli le ali».
Una lezione importante sul ruolo del giurista, e del costituzionalista in particolare, da proporre ai giovani studiosi, che sempre potevano rivolgersi a lei trovando ascolto, attenzione e insegnamenti rigorosi. Era giustamente molto esigente con gli allievi. Non credeva nell’esistenza di un metodo ideale nell’indagine del diritto costituzionale, ma proponeva invece «un modo serio di studiare». Di questo «modo» fanno parte l’attenzione per gli Autori del passato («perché i problemi ritornano sempre») e la necessità di porsi di continuo, preliminarmente, una domanda: «Perché ho deciso di scrivere?». Un interrogativo al quale bisogna essere in grado, diceva, di dare una risposta congrua: perché sull’argomento c’è pochissima letteratura, perché è un problema da approfondire, perché mi è venuta un’idea originale e ho qualcosa da sostenere, perché si incontrano carenze nelle interpretazioni sin qui proposte, perché appare utile segnalare una particolare evoluzione della dottrina o della giurisprudenza. Ciò che Lorenza non tollerava erano gli scritti meramente riassuntivi o “di ricapitolazione”, quelli che non aggiungono nulla di nuovo, che non sono in grado di suscitare dibattito, di far procedere la riflessione.
In questi giorni tutti mezzi di informazione hanno sottolineato come Lorenza Carlassare sia stata la prima donna titolare di una cattedra di diritto costituzionale. Ma non era tanto questo che la interessava: «Allora non l’ho percepito», afferma nell’intervista prima citata. Il problema, piuttosto, «è che io sono rimasta, a lungo, l’unica donna. L’aver vinto per prima la cattedra di Diritto costituzionale non sarebbe stato niente se a ciò fossero seguiti altri eventi simili; il vero problema è che sono rimasta la sola donna per molti anni. E ciò mi sembrava gravissimo sul piano sociale e politico». Sull’argomento sapeva anche ironizzare. Come quando ricordava che dopo il suo matrimonio il Consiglio di Facoltà padovano aveva deciso di non rinnovarle la borsa di studio, perché una donna sposata non può avere interessi scientifici: «Per questo sono diventata provvisoriamente casalinga». O quando rievocava il suo difficile percorso concorsuale, trascinatosi inusitatamente nel tempo, e sbloccatosi soltanto «perché in commissione è subentrato un gentiluomo, Serio Galeotti», evidentemente del tutto alieno a certi “costumi” accademici. Un’esperienza personale che le aveva consentito di maturare una grande sensibilità verso i temi della parità di genere, testimoniata sia dai suoi numerosi scritti sulle norme antidiscriminatorie in materia elettorale e sul riequilibrio della rappresentanza politica sia dalla sua attenzione per il contributo fondamentale delle Madri costituenti ai temi del “sociale”, con uno sguardo – scriveva - «guidato dalla consapevolezza profonda dei bisogni quotidiani e delle difficili condizioni della vita di troppi».
Lorenza Carlassare considerava di grande importanza, nella sua produzione, le Conversazioni sulla Costituzione, edite per la prima volta nel 1996, e in seguito aggiornate e integrate fino all’ultima edizione, del 2020. Si tratta infatti del punto di incrocio fra didattica e ricerca, di un testo che rappresenta il precipitato delle sue riflessioni e che contiene tutti gli elementi necessari ad offrire agli studenti una chiave di lettura del diritto costituzionale, sottolineando le linee di collegamento di una materia che non sopporta, per sua stessa natura, artificiose frammentazioni. Finalità primaria delle Conversazioni, per Lorenza, è quella di porre in evidenza i legami tra il diritto costituzionale e la realtà, di svelare «che cosa sottintendano determinate soluzioni, che cosa ne implicano altre, valorizzare lo sfondo politico che le accompagna», mettere in luce «il carattere ideologico delle Costituzioni e dei princìpi costituzionali». Nate in funzione di supporto, in senso alto, di altri manuali (e in particolare di quello di Paladin, allora adottato a Ferrara), esse si trasformano a loro volta in un manuale autonomo, pur non rispettandone le (ampie) dimensioni classiche. A questa “obiezione”, così rispondeva, ancora una volta proponendo una lezione di metodo (in questo caso, didattico): «Io non ho mai creduto al fatto che lo studente debba sapere un’infinità di cose. Detesto l’idea di nozione. Mi interessa il “sapere”. Il sapere si regge su princìpi; lo studente deve aver chiara la fisionomia di questi princìpi e maneggiare il legame che li collega gli uni agli altri. I princìpi sono come degli attaccapanni ai quali puoi appendere le nozioni; ma se non possiedi i princìpi ti esponi all’anarchia delle parole». Parole che «affiorano al momento e poi scompaiono senza lasciare alcuna traccia».
A questa esigenza di trasmettere il sapere con grande chiarezza e lucidità di pensiero, non soltanto agli studenti, ma più in generale ai cittadini, si collega la necessità per Lorenza, fattasi negli anni sempre più pressante, di “testimoniare” in difesa della Costituzione. Mi riferisco in particolare al libro Nel segno della Costituzione. La nostra Carta per il futuro, edito presso Feltrinelli nel 2012. Si tratta di un volume di alta divulgazione, che nasce da un’urgenza: quella di sottolineare l’attitudine della Costituzione repubblicana a porsi ancora oggi come un progetto di società, un programma per il futuro, un programma umano, contro la società disumana, discriminatoria e diseguale che sempre più drammaticamente si sta delineando. Si tratta di un testo appassionato e appassionante, scritto con un linguaggio al tempo stesso rigoroso ed estremamente chiaro, che coinvolge il lettore con grande immediatezza. In esso si trasmette il senso profondo della Carta come testo unitario, intessuto di princìpi fondamentali (eguaglianza, dignità della persona, diritti inviolabili, democrazia, laicità, pace) tra loro intimamente intrecciati, coordinati e integrati in un disegno organico e coerente. Non mancano affermazioni critiche molto nette e pungenti sull’attualità (un’attualità, direi, che non sembra affatto superata): come quando si parla di un «atteggiamento ostile, spesso addirittura oltraggioso, della classe governante nei confronti della Carta costituzionale», di un attacco «condotto negli ultimi anni in modo continuo e sguaiato», di riforme costituzionali continuamente annunciate che determinano per la Costituzione «una sorta di vita precaria (…) nell’insicurezza di esistere domani». Ma soprattutto quando si sottolinea la grave manipolazione che subiscono, nel dibattito pubblico, le parole stesse della Costituzione: «Persino parole come libertà, eguaglianza, legalità, costituzionalismo, imparzialità, onore, diritti e doveri, dignità della persona e riservatezza possono essere usate in modo da neutralizzarne il valore o addirittura servirsene in direzione inversa, alterandone il senso. Come avviene oggi, in particolare, con democrazia, concetto impropriamente inteso come dominio della maggioranza, ignorando volutamente l’aggettivo che la qualifica: democrazia “costituzionale”».
Mi fermo qui, anche se tanti sono i pensieri e i ricordi che si affollano nella mente, e che sarebbe bello condividere. Ci saranno altre occasioni, ne sono certa, perché molti di noi sentiranno la necessità di continuare, anche ora, in un modo diverso, il dialogo con Lorenza, il confronto con le sue idee e i suoi insegnamenti.
«A Lorenza che da sempre mi anima i giorni», scriveva l’amato marito, Giovanni Battaglini, internazionalista, scomparso nel 2005, dedicandole il suo ultimo libro sul diritto internazionale come sistema di diritto comune. Questo faceva Lorenza: animava, con la sua bellissima anima, la vita di chi le era vicino.
Giuditta Brunelli