di Antonella Sciortino
1. Gli art. 81.6 e 97.1 Cost., così come novellati dalla l. cost. 1/2012, positivizzando il principio di sostenibilità del debito pubblico hanno inteso introdurre una razionalizzazione delle procedure di finanza pubblica anche in una prospettiva di tutela e di responsabilità nei confronti delle generazioni future. Come garantire tale sostenibilità in considerazione dei molteplici fattori, endogeni ed esogeni, che ne condizionano la realizzabilità è un tema cruciale che sta alla base anche delle ragioni che hanno indotto la Commissione UE a proporre importanti modifiche al Patto di stabilità e crescita (d’ora innanzi PSC) e più in generale all’intero quadro di governance economica europea.
La necessità di una riforma sembra rintracciabile in molteplici ragioni come risulta anche dalla Comunicazione sugli orientamenti per una riforma del quadro della governance economica dell’UE del 9 novembre 2022.
L’applicazione ultraventennale del PSC (Reg. CE n.1466/97 così come modif. dal 1175/2011, dal regolamento (CE) n. 1467/97 del Consiglio, del 7 luglio 1997 e dalla risoluzione del Consiglio europeo, del 17 giugno 1997) ha mostrato non poche criticità applicative che adesso rischiano di essere acuite a seguito delle crisi di varia natura (finanziaria, sanitaria, energetica) che gli Stati membri dell’UE hanno dovuto affrontare nel corso del tempo e della situazione geopolitica legata al perdurare della guerra ucraina, solo per limitarsi agli esempi più significativi: questi, infatti, sono solo alcuni dei fattori che hanno modificato gli scenari in cui gli strumenti di governance europea si troverebbero ad operare e la cui resa oggi, da più parti, viene ritenuta non più adeguata. Non sono poche, infatti, le disfunzionalità da superare tra cui la crescente eterogeneità delle posizioni di bilancio dei diversi Stati membri e l’inadeguatezza degli strumenti che ne tengano conto, le politiche nazionali rimaste spesso pro-cicliche, le regole di bilancio dell’UE complesse e legate a indicatori non osservabili e quindi poco trasparenti, che necessitano di essere misurati come il saldo strutturale che richiede una stima del PIL potenziale, dell’output gap e dell’elasticità delle componenti cicliche del bilancio rispetto alle basi imponibili. A ciò vanno aggiunti i caveat che possono essere raccolti dagli effetti delle varie crisi, quella pandemica in particolare, in occasione della quale si è dovuta peraltro attivare la clausola generale di salvaguardia del PSC (dal marzo 2020 e che si protrarrà fino alla fine del 2023) e disporre un allentamento della disciplina degli aiuti di Stato.
2. Nella proposta di riforma COM (2023) 240 final del 26.04. 2023 (recante proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo al Coordinamento efficace delle politiche economiche e alla sorveglianza di bilancio multilaterale e che abroga il regolamento (CE) n. 1466/97del Consiglio) al centro del nuovo quadro di governance proposto vi è la sostenibilità del debito coniugata ad una crescita sostenibile e inclusiva con percorsi diversificati in ragione delle diverse situazioni debitorie dei vari Stati membri in modo da valorizzare la national ownership: viene introdotta una distinzione tra quelli con un debito molto elevato (superiore al 90% del PIL), altri con un debito inferiore al 60% e altri che si trovano in una fascia intermedia con un debito tra il 60% e il 90% del PIL. L’approccio di fondo proposto dalla CE sembra porsi in una prospettiva profondamente diversa rispetto al passato: verrebbe abbandonata la regola one size fits all del vecchio PSC con misure uguali per tutti gli Stati membri a favore di un gradualismo nella riduzione del debito agganciato a un indicatore di finanza pubblica rappresentato dal tasso di crescita annuale della spesa primaria (al netto degli interessi sul debito al di fuori del controllo dei governi) e netta (non considerando gli effetti del ciclo sulla spesa e quelli dovuti a variazioni discrezionali sulle entrate). Per quegli Stati che hanno un debito superiore al 60% del PIL o un disavanzo pubblico superiore al valore di riferimento del 3 % del PIL la Commissione propone, in una relazione al comitato economico e finanziario, <<una traiettoria tecnica per la spesa netta che copre un periodo di aggiustamento minimo di quattro anni del piano strutturale nazionale di bilancio a medio termine e una sua possibile proroga di un massimo di tre anni>> (art.5 della prop. di reg.cit.). La Commissione prospetta quindi un quadro di sorveglianza declinato sulla base del rischio proponendo di far venir meno l’attuale parametro di riduzione del debito (la regola dell’1/20) nella considerazione che, per gli Stati con una situazione debitoria molto elevata, la sua applicazione sarebbe esiziale per la crescita e per la stessa sostenibilità del debito. La “pietra angolare” – è questa l’espressione utilizzata dalla CE – di questa nuova architettura, sono i piani strutturali nazionali di bilancio a medio termine in cui ciascuno Stato membro presenta la traiettoria della spesa netta della durata di almeno 4 anni, ma estensibili a 7 (a certe condizioni) dove inserire, in coerenza con i rispettivi PNRR, investimenti e riforme che possano condurre ad una maggiore sostenibilità del debito, ma anche ad una crescita sostenibile. I piani includeranno tutti gli impegni di riforma e di investimento assunti dagli Stati membri per affrontare le sfide individuate nel contesto del semestre europeo, incluse le raccomandazioni specifiche per paese.
L’idea è quella di racchiudere in un piano nazionale a medio termine, unico, olistico e integrato (tutti aggettivi utilizzati nella bozza degli atti sovranazionali citati) il percorso di aggiustamento del debito senza una metrica quantitativa di riduzione definita ex-ante e al contempo quello di una crescita sostenibile all’insegna della transizione ecologica e digitale.
In sintesi i criteri per definire il percorso di aggiustamento del debito pubblico sono la DSA (Debt Sustainability Analysis), analisi molto complessa (come si evince da una relazione del Directorate-General for Internal Policies PE 741.504 - March 2023) basata su plurime variabili nonché l’adozione di un indicatore operativo unico ancorato alla sostenibilità del debito (spesa primaria netta, art. 2 n. 2 prop. reg. cit.).
In questo quadro rimarrebbero invariati i valori di riferimento del 3% del deficit e del 60% del debito rispetto al PIL, che hanno fatto la storia dell’UEM, la cui modifica implicherebbe peraltro la procedura complessa di revisione dei Trattati. Tuttavia, come sostenuto, ciò potrebbe imporre un bias deflazionistico persistente dati gli squilibri fiscali attuali (Buti).
Quanto all’enforcement del PSC e al regime sanzionatorio viene mantenuta la procedura per gli squilibri macroeconomici eccessivi e, accanto alla riduzione delle sanzioni finanziarie, vengono introdotte quelle reputazionali (il Ministro dell’economia dello Stato che non rispetti il piano di aggiustamento dovrà renderne conto al Consiglio) e quelle consistenti nella sospensione dei fondi strutturali e dei finanziamenti del Recovery Fund finchè non vengano corretti gli sforamenti del piano o il deficit eccessivo.
Infine le modifiche proposte alla direttiva 2011/85/UE del Consiglio, dell'8 novembre 2011, relativa ai requisiti per i quadri di bilancio degli Stati membri includerebbero sia il pacchetto che comprende anche una proposta di regolamento che sostituisce il regolamento (CE) n. 1466/97 (il braccio preventivo del patto di stabilità e crescita) sia una proposta di modifiche al regolamento (CE) n. 1467/97 (il braccio correttivo del patto di stabilità e crescita).
3. La riforma proposta del nuovo PSC ha acceso un dibattito, intenso e vivace da cui emergono luci e ombre.
I temi di riflessione per la disciplina costituzionalistica sono poderosi. Provo a proporne alcuni.
- Dal quadro di modifiche sommariamente accennato risulterebbe un ruolo particolarmente penetrante della Commissione in special modo per quei Paesi ad alto rischio debitorio.
In special modo in questi casi, per le politiche di bilancio nazionali non si corre il rischio di un eccesso di ruolo da parte della Commissione europea?
- O detto in altri termini, tale ruolo di accentramento non rischia di attribuire alla Commissione funzioni di indirizzo nei confronti delle politiche di bilancio nazionali che si pone oltre il limite dei Trattati?
Infatti, delle tre variabili (tasso di interesse del debito, tasso di crescita del reddito reale e rapporti di disavanzo) che, guidano il percorso debito/PIL, le ultime due (le cui variabili si possono solo immaginare sulla base di previsioni) sono il risultato di stime operate dalla Commissione. Qualcuno ha osservato che, in tal modo, la Commissione assurgerebbe a “giudice della sostenibilità del debito degli Stati membri”.
Tra i possibili rimedi uno potrebbe essere quello di prevedere un rafforzamento del ruolo delle istituzioni di bilancio nazionali indipendenti (IFI) con la supervisione di un European Fiscal Council indipendente dalla Commissione da coinvolgere nel processo di valutazione (Altomonte).
A questo profilo è collegato quello relativo al rafforzamento della titolarità nazionale (c.d.national ownership) che viene indicato come punto di forza della riforma proposta, ma che di contro rischia di essere svuotato dalle spinte accentratrici della Commissione.
Un altro potenziale “cono d’ombra” può essere ravvisato dall’aver introdotto l’analisi di sostenibilità del debito (DSA) alla base della valutazione della traiettoria calante del debito atteso che questa è una operazione tecnicamente molto complessa, con notevole possibilità di errori previsionali che farebbe rientrare dall’ingresso secondario alcune variabili macroeconomiche (tra cui il tasso di crescita futuro del PIL), ritenute poco trasparenti e fatte uscire, nell’ipotesi riformatoria, dall’ingresso principale.
- Altro tema di riflessione è legato alle ricadute della riforma, se approvata, sull’ordinamento interno: venendo meno il processo di convergenza annuale all’OMT specifico per ogni Paese (introdotto con la riforma del 2011) andrebbe valutata l’opportunità di rimodulare tutte quelle disposizioni costituzionali e non (ivi compresa la legislazione di contabilità pubblica) che fanno riferimento all’equilibrio strutturale di bilancio.
I più recenti sviluppi del negoziato, su indicazione della Francia, hanno messo in forse la distinzione degli Stati membri secondo la fascia debitoria e questo potrebbe rimettere in discussione alcuni profili della proposta di riforma a questi collegati. La Germania di contro ha chiesto l’attivazione automatica della procedura di riduzione del deficit dell 0,5% all’anno per i Paesi che violano la regola del 3% indipendentemente dalla regola della spesa primaria netta.
Al momento non si possono che attendere gli esiti di un negoziato non semplice tra attori con posizioni molto diverse tra loro i cui estremi sono rappresentati dai cosiddetti Paesi frugali del nord Europa (strenui sostenitori di fiscal rules più rigide) e quelli con un debito molto elevato (tra cui Italia e Francia). Il tutto non è reso più semplice dalle richieste di quei Paesi che si collocano nella fascia intermedia con debito moderato.