di Clemente Forte
Nell’introduzione di Antonella Sciortino sulla “Sostenibilità del debito pubblico e proposta di riforma del Patto di stabilità e crescita” un cenno è dedicato al tema legato “alle ricadute della riforma sull’ordinamento interno, a seguito della sua eventuale approvazione: venendo meno il processo di convergenza annuale all’OMT specifico per ogni Paese (introdotto con la riforma del 2011) andrebbe valutata l’opportunità di rimodulare tutte quelle disposizioni costituzionali e non (ivi compresa la legislazione di contabilità pubblica) che fanno riferimento all’equilibrio strutturale di bilancio”. Su questo profilo di carattere istituzionale si offrono qui alcune brevissime riflessioni.
Una premessa. Pur a fronte, al momento, solo della proposta di riforma da parte della Commissione europea, va registrato che è in corso un corposo dibattito tra gli economisti sul significato e sul contenuto di questa proposta, in particolare in riferimento al nuovo obiettivo di politica di bilancio, che dovrebbe consistere nell’indicatore unico di cui alla cd. ‘spesa netta’ (spesa primaria al netto delle misure discrezionali delle entrate e della spesa ciclica per la disoccupazione), al posto dell’obiettivo di medio termine calcolato in termini di saldo strutturale.
Il richiamo nella proposta alle entrate significherebbe però rimanere nella logica del disavanzo, da considerare però, ora, in termini primari, ossia al netto della spesa per interessi. Il che segnalerebbe che la vera differenza, sostanzialmente, in termini di obiettivo di politica economica, rispetto all’ordinamento precedente consisterebbe nel passaggio dal saldo strutturale lordo a quello al netto degli interessi.
Il quesito che qui si affronta riguarda la misura in cui la nuova regola così sintetizzata apra a possibili conseguenze sul nostro ordinamento finanziario interno così come conformato a seguito delle novelle del 2012 (anche a livello costituzionale), un ordinamento essenzialmente imperniato su quell’indicatore di cui all’equilibrio di bilancio strutturale di cui ora formalmente non si farebbe più menzione e che viene anzi considerato sostituito dalla nuova ed unica regola.
Si tratta di un quesito che può essere visto da due angolazioni: a) il dettato costituzionale (in particolare artt. 81 e 97, primo comma, Cost.); b) le leggi che hanno dato attuazione alla riforma costituzionale del 2012 (essenzialmente, la legge n. 243 del 2012). Naturalmente esistono altri profili giuridico-finanziari, qui non analizzati.
Al riguardo, quanto al testo della Costituzione, al momento sembrerebbe difficile sfuggire all’alternativa tra il superamento formale, con apposita modifica, del principio del pareggio strutturale bilancio stabilito dall’art. 81 Cost. (dopo la legge costituzionale n. 1 del 20 Aprile 2012) ovvero la sua reinterpretazione in un senso coerente con il nuovo obiettivo di medio termine (il che si riferisce, de relato, anche al primo comma dell’art. 97, Cost.). Si tratta invero di un’alternativa che è stata già messa in luce nel dibattito degli inizi dell’anno in riferimento alla prima comunicazione del novembre scorso della Commissione e che è stata poi ripresa nel dibattito più recente a seguito della formalizzazione della proposta della Commissione nell’aprile scorso.
Quanto invece alla legge rinforzata, appare ineludibile procedere ad una sua modifica formale, anche nel caso la Carta venga solo reinterpretata.
Circa dunque l’art. 81 Cost., in merito alle due possibili strade appare intuitivo che quella più agevole sembrerebbe consistere nella reinterpretazione, soprattutto nell’ipotesi minima per cui la vera differenza tra i due regimi consista nel passaggio al saldo strutturale primario. Depone nel senso della reinterpretazione anche la stessa comunicazione del Consiglio europeo del 14 marzo u.s. (Orientamenti per una riforma del quadro di governance economica dell'UE). Forse essendo sfuggito, all’atto della prima comunicazione della Commissione del novembre 2022, che alcuni Paesi (tra cui l’Italia) avevano recepito anche a livello costituzionale le riforme del Fiscal Compact del 2012, la comunicazione ha infatti reso noto che “gli Stati membri che utilizzano l'indicatore del saldo strutturale nei rispettivi quadri di bilancio nazionali dovrebbero avere la possibilità di tradurre il percorso di spesa in saldo strutturale unicamente ai fini del bilancio nazionale”.
Prescindendo comunque dalla perenne difficoltà del giurista di far assumere ad un principio contenuti diversi senza una modifica della norma interessata (soprattutto se costituzionale), il problema della revisione formale si porrebbe, dunque, solo per la legge rinforzata, dal momento che sembrerebbe davvero eccessivo procedere ad una mera reinterpretazione anche in questo secondo caso. Molti sono, infatti, gli articoli in cui tale legge richiama espressamente e formalmente quel saldo strutturale che assumerebbe, ora, un’altra configurazione, almeno nell’interpretazione minimale prima ricordata, ma comunque cambiando contenuto e denominazione, ciò che interessa al giurista.
Quanto invece alla legge ordinaria di contabilità per lo Stato (n. 196 del 2009), le conseguenze sembrerebbero invero di natura molto indiretta, in riferimento ad es. ad alcuni profili, come il contenuto degli obiettivi dei documenti programmatici, conseguentemente i saldi da assumere come parametro per la costruzione del bilancio dello Stato ed infine i vincoli di contabilità nazionale per quanto riguarda il decalogo delle compensazioni.