di Giovanna Razzano
L’interessante dibattito sull’originalismo e la Costituzione suscitato dalla sentenza Dobbs invita a considerare proprio quest’ultima, con la sua motivazione e le relative argomentazioni.
Secondo la Supreme Court, infatti, la precedente sentenza Roe è clamorosamente errata, rappresenta un abuso di potere giudiziale ed è stata annullata non solo e non tanto perché nel testo della Costituzione americana non sono menzionati né il diritto di aborto, né quello alla privacy (da cui fu ricavato il primo), ma soprattutto perché tali diritti, entrambi inespressi, non furono enucleati e ricostruiti in modo razionalmente convincente rispetto alla Costituzione e ai suoi Emendamenti, all’American law, al common law, alla storia e alla tradizione americana, nonché al concetto di libertà ordinata.
Se è innegabile che, così facendo, la sentenza Dobbs abbia adottato un approccio coerente con l’originalismo, è pur vero che il metodo interpretativo adottato non è nuovo nella giurisprudenza della Supreme Court. La stessa sentenza Roe, che originalista non può dirsi, argomentò l’esistenza di un diritto costituzionale di aborto a partire anche dalla storia americana, come indica il fatto che si soffermò diffusamente sulla history of abortion e sul tema del quickening (la percepibilità del feto nell’utero materno), nel tentativo di provare che nel diritto americano esistesse una risalente tradizione comprovante la libertà di aborto almeno prima di tale fase. Fu sempre la sentenza Roe a richiamare quei precedenti per cui solo i diritti personali che possono ritenersi fondamentali o impliciti nel concetto di libertà ordinata possono includersi nel concetto di ordered liberty. Ancora, è indicativo che un amicus brief presentato ora per Dobbs, a sostegno del diritto di aborto, abbia tentato di sminuire il dato storico per cui al tempo dell’approvazione del XIV Emendamento gli Stati americani qualificassero penalmente l’aborto, sostenendo che lo facessero illegittimamente, solo per il timore che le immigrate cattoliche avessero più figli delle protestanti bianche, ove l’aborto fosse stato legale (Brief for Amici Curiae American Historical Association and Organization of American Historians, 20).
I riferimenti alla storia sono insomma consueti, così come quelli alla tradizione, alla conscience of our people o al fatto che un diritto implicito può o meno godere della garanzia del XIV Emendamento solo se deeply rooted in this Nation’s history and tradition and implicit in the concept of ordered liberty. Non si tratta, quindi, di percorsi ermeneutici propri dell’originalismo o dei Justices di nomina repubblicana, bensì di una metodologia risalente e condivisa.
Il punto è che Roe si basò su errori di analisi (ad es. lo scritto di C. Means, poi screditato) e motivò la decisione in modo non rigoroso. Fu egregiously wrong non già perché non fu originalista, ma perché la motivazione fu carente e le conclusioni incoerenti con la Costituzione. Introdusse il diritto costituzionale di aborto fino al sesto mese di gravidanza, stabilì una dettagliata disciplina per trimestri di gestazione e vietò che da quel momento in poi gli Stati potessero adottare leggi a tutela della “vita potenziale” prima del settimo mese, affermando che solo da allora vi sarebbe stata la viability, la vitalità del feto fuori dall’utero. Tutto ciò limitandosi ad asserire che un diritto di aborto fino al sesto mese sarebbe implicito in alcuni Emendamenti (I, IV, V e IX), in particolare nel XIV, giacché questo menziona la “liberty”, per cui includerebbe la privacy, la quale, a sua volta, comprenderebbe l’aborto, «as we feel it is» (Roe, 410 U.S. at 153).
Non è casuale che autorevoli costituzionalisti americani, progressisti e pro-choice, come già rilevato da Vanoni, criticarono duramente la sentenza Roe, ritenendola fuori dal diritto costituzionale (J.H. Ely), mentre Ruth Ginsburg espresse le sue perplessità, ritenendo la sentenza colpevole di aver fermato un processo politico di riforma, accrescendo lo scontro.
Non sembra quindi di poter condividere l’affermazione per cui, in Dobbs, l’argomento originalista «non sia altro che uno stratagemma retorico-persuasivo funzionale alla realizzazione di un attualissimo programma politico di stampo conservatore» (Caruso). E ciò non solo perché l’originalismo è composito e non riducibile a semplice stratagemma (come osservato da Vanoni, Zanon, Camerlengo e Chessa), ma anche perché ne possono derivare idee di costituzione e istanze politiche ben diverse. Lo dimostra l’amicus brief presentato per Dobbs a firma di J. Finnis e R. George (peraltro “maestri”, in senso accademico, di Justice Gorsuch), i quali avevano auspicato una sentenza che, anziché rimettere agli Stati le decisioni politiche sull’aborto e riservare alla Supreme Court un ruolo neutrale (che Kavanaugh, nella sua concurring opinion, ha sentito il bisogno di rimarcare), dichiarasse, piuttosto, il divieto di aborto come costituzionalmente necessario, in quanto, pur sempre da una prospettiva originalista, i nascituri sono persons, alla luce del significato originario del XIV Emendamento e della storia del common law.
Ora se il nostro tema è Originalismo e Costituzione, al di là della questione dell’aborto (v. D’Amico), rispetto a cui, comunque, il mondo femminile americano è diviso ed eterogeneo (come rivelano alcuni amicus briefs presentati da donne e da femministe pro-life, interessate sia alla parità, sia ai diritti dell’unborn human being), quel che più conta è il punto in cui Dobbs critica il precedente perché «Roe’s constitutional analysis was far outside the bounds of any reasonable interpretation of the various constitutional provisions to which it vaguely pointed» (p. 44).
Si allude infatti ad una questione fondamentale per il costituzionalista. Il tema dei confini dell’interpretazione ragionevole delle disposizioni costituzionali, così come quello del significato e dell’oggettività del testo, come pure dei criteri per l’identificazione dei diritti fondamentali non è di certo riservato agli originalisti, ai conservatori, ai repubblicani o ai pro-life. Si tratta, piuttosto, di un problema cruciale per il diritto costituzionale e per il diritto in generale, che attiene al ruolo del giudice, a quello del legislatore, al principio della separazione dei poteri e a quello democratico, nonché all’ermeneutica giuridica.
A quest’ultimo riguardo, specie nel panorama europeo, non può essere tralasciata l’opera di Betti, il quale, assieme ad altri (Gadamer, Esser, Perelman), benché distante dalla sensibilità per i principi appena menzionati e perfino critico sulla Costituzione del 1948, diede un contributo fondamentale alla disciplina. Egli, infatti, mentre affrontava il tema della competenza a identificare i principi generali del diritto, «caratterizzati da un’eccedenza di contenuto assiologico (…) al punto che essi si pongono a fondamento dell’ordine giuridico, con una funzione genetica rispetto alle singole norme» e mentre rimarcava il ruolo essenziale che la giurisprudenza svolge a tal fine, quale organo della coscienza sociale, difese al contempo il carattere scientifico dell’interpretazione giuridica, la quale, come ogni interpretazione delle forme rappresentative dell’umano, deve fare i conti con l’«oggettività irremovibile» nella quale si sostanziano tali forme, rispettandone il significato, che è da ricavare e non da imporre (e neppure da produrre, come per Guastini, per il quale le norme sono non l’oggetto, ma il prodotto dell’interpretazione). Per Betti, che ereditava l’approccio storico-giuridico dai suoi studi romanistici (Crifò, Mura) e nel quale vi era il pathos dell’oggettività (Irti), «non basta analizzare la logica della lingua usata dalla legge: si deve altresì indagare, in indirizzo storico e tecnico, sia la logica dei rapporti sociali disciplinati, sia la logica del loro trattamento giuridico». Escludeva, poi, che l’attività interpretativa della giurisprudenza potesse essere fonte del diritto.
Come si vede un tale approccio, elaborato in tutt’altro contesto, a prescindere dall’originalismo, risulta comunque proprio di ogni metodo interpretativo che voglia essere scientifico basandosi su di una tale rigorosa indagine logica, alla ricerca del significato, nel rispetto dell’oggetto storico e reale, con la sua alterità e autonomia (per Betti sensus non est inferendus, sed efferendus).
Ove manchi tutto ciò, un’interpretazione, in ipotesi, può allora anche risultare abuse of judicial authority e una sentenza, ancorché costituzionale, egregiously wrong, perché far outside the bounds of any reasonable interpretation of the various constitutional provisions.