di Quirino Camerlengo
1. Il sindacato di costituzionalità delle leggi si muove all’interno della “materia costituzionale”. Quest’ultima rappresenta il terreno i cui confini circoscrivono il giudizio devoluto al custode della Costituzione e i cui elementi offrono allo stesso i parametri alla stregua dei quali svolgere tale funzione.
Per gli originalisti la materia costituzionale è definita dal testo della Costituzione. Secondo questa impostazione, la materia costituzionale è un terreno che offre standard di giudizio strettamente ancorati al tenore letterale degli enunciati costituzionali. Le operazioni interpretative non possono andare oltre il senso proprio delle parole, alla luce dell’intenzione che ha guidato la mano dei framers.
Per i sostenitori della living Constitution, la materia costituzionale, pur definita dalle disposizioni della Carta fondamentale, si presta ad accogliere elementi inediti, anche in virtù di interpretazioni evolutive degli stessi enunciati, affinché il testo sia adattato, in assenza di formali revisioni costituzionali, alle trasformazioni in atto nella società.
Per gli originalisti, il giudice costituzionale deve attenersi scrupolosamente a ciò che dice la Costituzione attraverso il proprio qualificante linguaggio: ogni ultronea attribuzione di senso determinerebbe uno straripamento della judicial review of legislation a danno della politica e, dunque, delle istituzioni democratiche della rappresentanza politica.
Per i fautori della living Constitution, il giudice costituzionale non è solo l’implacabile guardiano della costituzionalità delle leggi, ma è anche promotore di innovazioni là dove il legislatore ordinario non si sia rivelato in grado di intercettare le trasformazioni sociali traducendole in discipline normative adeguate ad una realtà in continua evoluzione: nessuna attività creativa di diritto, ma un pieno e coerente inveramento dinamico delle disposizioni costituzionali sfruttando al massimo le potenzialità ermeneutiche del testo.
Agli originalisti si contesta una rigida visione testuale, la cui pratica finisce col frustrare l’attitudine della Costituzione ad operare quale condizione sempre attuale di equilibrio, stabilità e giustizia: una prospettiva, questa, cieca e chiusa rispetto al cambiamento (Caruso).
Ai fautori della living Constitution si obietta una certa disinvoltura o leggerezza nel concepire il diritto costituzionale come una struttura normativa sin troppo permeabile, sì da favorire l’accesso nella materia costituzionale anche di elementi stravaganti o comunque eccentrici rispetto alla filosofia di fondo che ispira la Costituzione, quale atto che ha una propria origine storica. Dunque, non una mera Costituzione “vivente”, ma una leaving Constitution, che appunto abbandona il proprio originario ruolo di faro sicuro per dischiudere orizzonti dai contorni indefiniti e, perciò, disorientanti.
Tornando ad un profilo lucidamente sviluppato da Luca Vanoni, l’originalismo è congeniale alla affermazione di posizioni conservatrici o, all’opposto, progressiste nella misura in cui, però, lo stesso testo costituzionale sia il frutto di orientamenti politici conservatori o, rispettivamente, progressisti. Faccio un esempio. La clausola (o principio-valvola, per come lo ha studiato efficacemente Federico Pedrini) dell’utilità sociale è stata pensata per contemperare il riconoscimento della libertà di iniziativa economica privata col principio fondamentale di eguaglianza sostanziale: ebbene, una lettura “evolutiva” di questa clausola, orientata verso la consacrazione e il rafforzamento del mercato e della concorrenza, finirebbe col vanificare lo sforzo progressista sotteso al secondo comma dell’art. 3. Un chiaro esempio, questo, di living Constitutionalism indirizzato verso posizioni ideologiche non progressiste.
Ma è così netto il divario tra questi due approcci? O, ancora, è possibile immaginare uno scenario diverso, idoneo a ravvicinare le due posizioni?
2. La Costituzione, lungi dall’essere un prodotto normativo calato dall’alto, è la risposta data dal soggetto costituente ad una “domanda di Costituzione” proveniente dalla società, secondo la felice intuizione di Fausto Cuocolo, ripresa di recente da Antonio Ruggeri. Una società che aspiri ad essere well-ordered (Rawls) si attiva affinché imperfezioni, contraddizioni, tensioni, criticità trovino una soluzione idonea a garantire la pace e la coesione sociale. Questa domanda, protesa verso il cambiamento sociale, è intercettata dagli attori che operano nei processi costituenti, e si esprime attraverso “concezioni ideali”, vale a dire assetti relazionali che si reputano congeniali al bisogno di giustizia e di equità emerso in seno alla comunità. Queste concezioni ideali si traducono in materiale normativo attraverso la loro trasposizione giuridica in princìpi costituzionali, ossia i pilastri intorno ai quali si perfeziona il patto tra autorità e società, tra potere e libertà.
Il testo costituzionale non è che il frutto della ricognizione di queste concezioni ideali e, dunque, non è che la rappresentazione formale dei princìpi che fondano il nuovo assetto ordinamentale. Nella interpretazione degli enunciati costituzionali la domanda di Costituzione continua a svolgere un ruolo rilevante, non essendosi esaurita con l’adozione della Carta fondamentale.
Essendo quei princìpi il punto di equilibrio tra la domanda (sociale) e l’offerta (politico-istituzionale) di Costituzione, ogni operazione ermeneutica volta ad inverare il diritto costituzionale sfruttandone al meglio le molteplici potenzialità espressive, non può che muoversi all’interno della cornice tracciata dagli stessi princìpi. A conferma di ciò si pensi alla nostra giurisprudenza costituzionale che ha sempre riconosciuto l’affermazione di un “nuovo diritto” (Modugno) alla luce del principio fondamentale enunciato nell’art. 2 della Costituzione.
L’interpretazione costituzionale orientata e, nel contempo, limitata dai princìpi fondamentali soddisfa tanto le pretese di certezza degli originalisti, in quanto il testo non è sacrificato in nome di pretese di riconoscimento del tutto avulse dallo spirito che anima il dettato costituzionale, quanto le aspirazioni evolutive dei teorici della living Constitution, dal momento che consente alla domanda di Costituzione, che si sviluppa e arricchisce nel tempo in parallelo alle trasformazioni sociali, di continuare la propria opera di affinamento del sistema costituzionale in un senso davvero coerente con il proprio ruolo.
3. Non sono un esperto di diritto angloamericano, come chi mi ha preceduto in questo dibattito, ma ho la sensazione che nell’esperienza costituzionale degli Stati Uniti difettano i due elementi dapprima sommariamente descritti: la domanda di Costituzione proveniente dalla società e, soprattutto, l’idea, diffusa e radicata in molti ordinamenti occidentali, dei sistemi costituzionali fondati su di un nucleo forte (o nocciolo duro) di princìpi fondamentali o supremi: quelli enunciati a partire dalla sentenza n. 1146 del 1988 della nostra Costituzionale, oppure le clausole di eternità (Häberle), o ancora i princìpi che innervano la supra-constitutionnalité.
Nelle pronunce qui contemplate difetta il riconoscimento che anche la Costituzione degli Stati Uniti, al pari di ogni sistema costituzionale, si è sviluppata a partire da un nucleo di princìpi fondamentali che hanno avuto la forza di irradiarsi in tutto l’ordinamento, tracciandone le linee di sviluppo. Sono proprio quegli «underlying principles» evocati da Jack M. Balkin (citato da Vanoni), che conferiscono identità all’ordinamento e che ne garantiscono la stabilità nel tempo nonostante l’avvicendarsi delle forze politiche. Questo approccio potrebbe ridurre sensibilmente le distanze tra chi, venerando il testo, forse (è una ipotesi) pensa di deresponsabilizzarsi adducendo un opinabile self restraint, e chi, all’opposto, ritiene e tratta la materia costituzionale come un terreno in cui qualsiasi “oggetto” sociale possa attecchire giustificando un attivismo giudiziario senza remore (la juristocracy di Hirschl).
Non credo, diversamente da Justice Kavanaugh, che la Costituzione possa essere “neutrale” rispetto a questioni che incidono sui diritti fondamentali e, più in generale, sul principio personalista. La Costituzione può essere “indifferente” rispetto a molteplici fatti o comportamenti o rapporti che non sono percepiti meritevoli di essere inclusi nella materia costituzionale e che, come tali, sono rimessi alla più ampia discrezionalità del legislatore ordinario. Ma non è il caso dei diritti, sicuramente di quelli della tradizione liberale. Se così fosse, la Costituzione abdicherebbe alla essenziale funzione che le fu attribuita dall’art. 16 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789, vale a dire la tutela dei diritti fondamentali attraverso una architettura istituzionale basata sulla separazione dei poteri. E la Corte suprema, quando si riferisce ai diritti che siano «deeply rooted in the Nation’s history and tradition», inconsapevolmente allude proprio ai princìpi fondamentali sui quali è eretto l’ordinamento americano, a cominciare dalla «human dignity» evocata nella concurring opinion di Justice Kavanaugh.