di Chiara Bologna
Alla base della decisione assunta dalla maggioranza nel caso Dobbs vi è, come ben illustrato da Corrado Caruso, la lettura originalista del XIV emendamento, in passato considerato dalla Corte suprema idoneo, attraverso la due process clause, a garantire libertà non espressamente enumerate qualora fossero «profondamente radicate nella storia e tradizione del Paese» ed «essenziali nello schema di ordinata libertà». È nell’applicazione di tali criteri che emerge l’approccio fortemente originalista della maggioranza della Corte, che ritiene di doverli verificare ripercorrendo secoli di storia giuridica non dei soli Stati Uniti, ma più in generale del common law per dimostrare l’eventuale presenza (o meglio l’inevitabile assenza) del diritto all’interruzione di gravidanza. L’esito del reasoning conduce la Corte a denunciare l’abuse of judicial authority realizzato dai giudici supremi che, con la decisione Roe v. Wade, invasero nel 1973 la sfera del potere legislativo «interrompendo un processo politico» che stava gradualmente, nel rispetto della volontà del popolo e dei suoi rappresentanti, conducendo all’approvazione di leggi statali che riconoscevano e disciplinavano il diritto all’interruzione di gravidanza.