di Elisabetta Catelani
L’indirizzo politico italiano dal 2021 è condizionato fortemente dall’attuazione del Piano Nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), derivante dal contenuto del regolamento UE 2021/241, dai decreti legge nn. 77/2021, 152/2021, e dai successivi atti normativi che li hanno seguiti e seguiranno per costruire sia proceduralmente, sia sostanzialmente il relativo piano (fra cui d.l. n. 59/2021, 80/2021, 36/2022).
Si sta realizzando una trasformazione del modo di formazione delle decisioni politiche da parte del governo, concordata con il Consiglio europeo, dell’Unione e con la Commissione europea, che non si era mai vista in Italia, nonostante la significativa influenza che ormai le istituzioni dell’Unione esercitano nella formazione del bilancio dello Stato. Un condizionamento dell’UE che si riflette sulla realizzazione di tutta una serie di riforme strutturali da tempo invocate in Italia, ma mai portate a termine (la riforma della giustizia con riguardo ai tempi di decisione ed agli aspetti procedurali, la riforma della pubblica amministrazione nelle sue varie sfaccettature, comprensiva ad esempio del tanto discusso codice degli appalti) e, nello stesso tempo, l’attivazione di un processo di rinnovamento nei settori che costituiscono le sei missioni contenute nel PNRR, dalla transizione digitale ed ecologica, alle infrastrutture, fino al sostegno e innovazione a tutela dei tre diritti sociali classici: istruzione, lavoro e salute.
Un piano di ripresa molto ambizioso e coraggioso, ma essenziale per una effettiva ripresa economica dell’Italia che a causa della pandemia, ma anche, in precedenza, per politiche finanziarie estremamente restrittive, avevano portato alla recessione.
Un piano che si propone anche come strumento di “resilienza”, intesa come “capacità di affrontare gli shock economici, sociali e ambientali e/o i persistenti cambiamenti strutturali in modo equo, sostenibile e inclusivo” (art. 2 Reg. UE 2021/241) e che per la sua natura non può non incidere sulla tipologia di scelte politiche che vengono adottate dagli Stati, incidendo fortemente sulla loro sovranità. Da qui il dubbio in ordine ai margini di decisione riconosciuti allo Stato nel momento in cui si sono recepiti i contenuti del regolamento.
Da un punto di vista dell’ordinamento costituzionale il PNRR ed il processo d’attuazione ora in atto pongono tuttavia una serie di interrogativi che possono essere solo accennati, in questa sede, ma che condizioneranno i nostri studi nei prossimi anni e che possono essere riassunti in tre aspetti principali: incidenza del PNRR sulla forma di governo, sull’uso delle fonti del diritto e sulla forma di Stato (almeno sul versante dei rapporti fra Stato e regioni).
Un primo problema attiene all’influenza che il regolamento UE, il PNRR ed i successivi atti normativi già approvati stanno avendo sul processo di formazione delle decisioni politiche del governo attuale e della futura maggioranza che uscirà dalle elezioni del 2023. Vari sono, a tale riguardo, i profili di cui occorre tenere conto, in quanto le scelte politiche a livello macro sono già state fatte nel PNRR e nei decreti legge di prima attuazione, cosicché il margine di modifica dell’attuale PNRR è possibile in futuro, ma di difficile realizzazione perché condizionato da un procedimento delineato nel regolamento UE e di non certa approvazione da parte degli organi europei. In altre parole, gli obiettivi sono stati fissati ed il margine di decisione futura potrà essere limitato alle modalità attraverso cui gli obiettivi verranno realizzati
Tali atti incidono poi sulla stessa forma di governo, visto che condizionano la formazione della volontà degli organi competenti, sia statali che regionali (se un margine di decisione viene ancora loro riconosciuto).
Al Consiglio dei ministri, che dovrebbe essere la sede principale della formazione della politica di governo, si è affiancata, per quanto attengono i poteri di indirizzo, impulso e coordinamento generale del PNRR, la Cabina di regia in cui le decisioni dovrebbero essere elaborate e discusse per poi essere approvate, ma si potrebbe dire anche ratificate, dal Consiglio dei ministri. Una struttura, supportata da un Tavolo permanente e dalla Segreteria tecnica, a cui può sempre partecipare il Presidente del consiglio (qualora non deleghi la Presidenza ad altro Ministro), ma a cui gli altri Ministri e Sottosegretari sono chiamati solo “in ragione delle tematiche affrontate in ciascuna seduta”, coinvolgendo, se interessati, i Presidenti delle regioni speciali o il Presidente della Conferenza Stato regioni. È delineato dal d.l. n. 77/2021, in altre parole, un nuovo insieme di organi di supporto per la formazione, coordinamento e promozione dell’indirizzo politico, forse richiesti dai tempi rapidi di decisione, imposti anche da quella finalità generale di resilienza, di cui si diceva, che richiede di affrontare in modo nuovo e diverso le emergenze, potendo condizionare fortemente il modo di operare degli organi costituzionali e quindi la forma di governo.
Vedremo, con il passare dei mesi, quanto queste strutture siano effettivamente operative (per ora la Cabina di regia risulta essersi riunita solo due volte) e quanto invece rimanga sulla carta. Dipenderà dalla volontà del Presidente del Consiglio e dall’uso che ne vorrà fare, ma gli strumenti normativi per uno spostamento del centro decisionale sono stati previsti. Ciò che sicuramente viene introdotto è un ruolo sempre più centrale del Ministro dell’economia a cui fa capo il Servizio centrale per il PNRR che tiene poi direttamente i contatti con la Commissione europea (art. 6 del d.l. n. 77/2021), nonché con le varie strutture di coordinamento istituite da ciascuna Amministrazione centrale.
Il Presidente del Consiglio, di conseguenza, ha ancor più accentuato il suo ruolo primario, che, con alterne vicende, tende sempre più ad esercitare, in particolare nei rapporti con l’UE. In questo contesto poi, non si limita ad utilizzare la sua normale funzione di indirizzo e coordinamento del governo e dell’attività dei ministri, ma, dopo aver svolto quell’attività di contrattazione con l’UE per la formulazione della New generation EU Italia, è colui che più di ogni altro garantisce il rispetto dei traguardi (milestone) e degli obiettivi (target) concordati con l’UE. È colui che indirizza, coordina e promuove la loro realizzazione con il sostegno delle strutture che abbiamo prima elencato, che sono tutte collocate all’interno della Presidenza del Consiglio dei ministri e che attiva, convoca nella formazione che più risponde ai suoi indirizzi.
Accanto ad un Presidente del Consiglio forte e ad un Consiglio dei ministri che, con riguardo al PNRR, sembra destinato a svolgere più una funzione di controllo che di indirizzo e di elaborazione della politica generale di governo, le Camere sono collocate inevitabilmente in un ruolo più limitato rispetto a quello costituzionalmente loro attribuito. Abbiamo già visto come, durante il periodo dell’emergenza sanitaria, il Parlamento si è limitato a convertire in legge i decreti del governo, spesso con la possibilità di approvare emendamenti in una sola Camera, ed ora rischia di mantenere anche in questa fase una funzione assai ridotta e spesso con scadenze che condizionano la programmazione e che limitano non tanto la capacità decisoria, ridotta ai minimi termini, ma anche la possibilità di controllo di decisioni prese “altrove”, anche nell’elaborazione delle leggi delega che costituiscono l’ambito in cui, in ogni caso, l’intervento del Parlamento è essenziale. Non si può escludere, anche in tali casi, che vi sarà un ricorso alla questione di fiducia, così da emarginare ancor di più la capacità emendativa dei parlamentari. E tutto ciò si protrarrà fino al 2026.
Una compressione della funzione legislativa che tuttavia si potrebbe riespandere in ambiti ultronei rispetto al PNRR, su cui il Parlamento pare ora indirizzarsi (leggi nn. 22 e 23/22), anche se tante sono le aspettative disattese.
Il PNRR s’inserisce, quindi, nel nostro sistema delle fonti (sempre che ancora si possa definire tale) in modo dirompente condizionandone il contenuto, i tempi ed i soggetti che avranno la possibilità di elaborare ed approvare i testi. L’unica strada percorribile, per un’attuazione celere della normativa richiesta dal PNRR, è data da atti normativi di provenienza governativa, decreti legge, leggi delega e conseguenti decreti legislativi, sui quali lo spazio per l’influenza degli altri interlocutori istituzionali, Parlamento e Regioni, è assai compresso.
Da qui un’influenza sicuramente incisiva del PNRR sulla stessa forma di Stato.
Ancora una volta, dopo l’accentramento delle competenze attuato durante la pandemia, si riduce l’autonomia legislativa regionale, collocando le regioni a meri soggetti attuatori delle scelte e delle decisioni prese prima a livello europeo e poi governativo. Si realizza così un’evoluzione verso una natura prevalentemente amministrativa delle regioni di cui da tempo si parla e con il PNRR sembra che di fatto si stia realizzando, non certamente attraverso una riforma costituzionale, ma proprio ancorando l’attuazione del PNRR ai vincoli europei, che pongono lo Stato centrale come referente e responsabile diretto.
Le regioni hanno, peraltro, un ruolo essenziale nel piano, ma le modalità attraverso cui si attiveranno, condizioneranno in maniera incisiva la stessa realizzazione delle finalità previste a livello centrale. Devono essere quindi messe nelle condizioni di avere le forze organizzative adeguate, cercando di evitare l’uso di quei poteri sostitutivi e di nomina di commissari ad acta che raramente hanno dato buoni risultati nelle precedenti esperienze. Regioni che possono essere centrali se si intende perseguire quell’obiettivo di solidarietà, declinato in coesione sociale e territoriale nel PNRR, sempre auspicato, ma con difficoltà realizzato specialmente nelle regioni del mezzogiorno.
In definitiva, una forma di governo ed una forma di Stato che sono in fase di trasformazione da molto tempo ed ora ancor di più per effetto del PNRR, per la necessità di adattamento ed ora di resilienza imposte dai mutamenti esterni, ma sempre nel recinto costituzionale, che, nonostante tutto, condiziona anche questo piano.