di Francesca Biondi e Claudio Panzera
Sin dalle origini attraverso la decisione di bilancio sono messi alla prova molteplici aspetti del funzionamento della forma di governo parlamentare (chi decide sulla finanza pubblica e come si decide) e della forma di stato (per il nesso tra scelte sull’allocazione delle risorse ed effettività dei diritti fondamentali). Dal primo punto di vista, attraverso tale procedura si è storicamente sviluppata la dialettica tra Governo e Parlamento in ordine al controllo sul reperimento e l’impiego delle risorse pubbliche. Dal secondo punto di vista, nonostante l’apparente tecnicismo, quella sul bilancio rappresenta la più politica delle leggi “di indirizzo”, in quanto rivolta ad assicurare la contribuzione fiscale e la spesa pubblica rispetto a determinate priorità costituzionali («decisioni che costituiscono il nucleo storico delle funzioni affidate alla rappresentanza politica sin dall’istituzione dei primi parlamenti e che occorre massimamente preservare», come afferma l’ordinanza n. 17 del 2019 della Corte costituzionale).
Lo studio, soprattutto in chiave diacronica, della decisione di bilancio e delle sue procedure nell’ordinamento italiano costituisce, dunque, un punto di vista privilegiato per comprendere lo sviluppo delle dinamiche istituzionali sia sul piano dei rapporti tra Governo e Parlamento, anche alla luce del diritto dell’Unione europea, sia su quello del sistema delle fonti e del controllo di costituzionalità. Nel corso degli anni, e poi soprattutto a partire dalla riforma costituzionale del 2012, la decisione di bilancio è divenuta infine anche momento fondamentale per la verifica della tenuta dei rapporti tra lo Stato e l’Unione europea.
Eppure, come anche dimostrato dalle più recenti vicende, la sessione di bilancio non sembra ancora aver trovato un assetto adeguato a contemperare le diverse esigenze in gioco: tenuta dei vincoli finanziari e, più recentemente ancora, raggiungimento degli obiettivi fissati nel PNRR; capacità delle Camere di svolgere un adeguato ruolo di co-decisione o, almeno, di efficace controllo sulle scelte del Governo (sia per il tempo assai ridotto riservato ai lavori parlamentari, sia per l’asimmetria che ancora sussiste tra strutture tecniche di ausilio del Governo e del Parlamento); corretto equilibrio nella dialettica democratica tra maggioranza e opposizione all’interno delle Aule.
Le modalità di approvazione della legge di bilancio seguite negli ultimi anni (da ultimo anche nella legge n. 197 del 2022) rilevano una serie di criticità che vanno certamente oltre le ricorrenti polemiche tra le forze politiche rappresentate in Parlamento, e inducono a chiedersi se le trasformazioni su più fronti che sta subendo il nostro assetto costituzionale siano ancora compatibili con i princìpi e l’equilibrio fissati nella Carta o se piuttosto ne stiano determinando una modifica tacita.
A tal fine, si prenderanno brevemente in esame quattro profili.
Una prima questione concerne l’incidenza del semestre europeo sull’articolazione della tempistica nazionale di approvazione della legge di bilancio. L’interlocuzione con le istituzioni dell’Unione, necessaria ad assicurare il coordinamento delle politiche economiche e di bilancio nazionali agli orientamenti indicati dal Consiglio europeo, si svolge, com’è noto, nel primo semestre di ogni anno, ma di fatto si protrae anche in seguito, determinando aggiustamenti e innovazioni in corso d’opera, persino durante le fasi finali di discussione parlamentare del disegno di legge presentato dal Governo nel mese di ottobre (come accaduto nel caso della legge di bilancio per il 2019, “salvata” dalla citata ordinanza n. 17 del 2019). Questo tipo di vincolo, non solo contenutistico ma anche procedurale, rischia di divenire un comodo “alibi” per il Governo nel forzare in tempi ristrettissimi – fin quasi ad azzerare – il dibattito parlamentare sulle decisioni da assumere. La necessaria convergenza degli obiettivi economico-finanziari nazionali ed europei, unita all’inderogabile rispetto della tempistica nell’approvazione del bilancio, rischia di tradursi in una “limitazione di sovranità” che sbilancia il rapporto fra i poteri legislativo ed esecutivo (forma di governo) e, nell’ambito del primo, fra maggioranza e opposizione (dialettica democratica).
Quello relativo alle procedure parlamentari rappresenta un secondo profilo di indagine. Premesso che l’art. 72, quarto comma, Cost. esige il procedimento ordinario di approvazione, a garanzia della partecipazione di tutti i soggetti politici, i regolamenti parlamentari sono stati più volte modificati sia per rendere le procedure parlamentari adeguate alla sessione di bilancio, per garantire, al contempo, rispetto dei tempi di approvazione e copertura finanziaria della spesa pubblica e controllabilità e trasparenza della decisione da parte delle Camere. Da ultimo, la revisione del regolamento del Senato del 2017 e quella del regolamento della Camera del 2022 sono rivolte a rafforzare il controllo parlamentare per evitare, ad esempio, che il Governo presenti in Assemblea un maxi-emendamento interamente sostitutivo del testo discusso sino a quel momento (disponendo, in tali casi, che l’emendamento torni in Commissione).
Ma le prassi degenerative negli anni si ripetono.
Le Commissioni parlamentari, e quella Bilancio in particolare, hanno a disposizione sempre meno tempo per esaminare il disegno di legge, che, peraltro, talvolta viene cambiato dal Governo in corso di esame, per venire incontro ad esigenze della maggioranza o all’esito di interlocuzioni con la Commissione europea.
L’analisi dei procedimenti di approvazione delle leggi di bilancio nella XVIII legislatura e in quella appena avviata conferma poi prassi già conosciute in occasione della conversione di decreti-legge: data la necessità di approvare il disegno di legge entro termini prestabiliti, uno dei due rami del Parlamento esamina, modifica e approva il testo presentato dal Governo, l’altro è costretto, nei pochissimi giorni che intercorrono tra Natale e Capodanno, all’alternativa secca “prendere o lasciare” senza reali possibilità di modifiche (monocameralismo di fatto o monocameralismo alternato). Così è avvenuto anche negli ultimi mesi del 2022. Quali rimedi si prospettano per una simile deriva?
L’effettività dei controlli costituzionali è il terzo aspetto da considerare.
Com’è noto, grazie all’apertura contenuta nell’ordinanza n. 17 del 2019, è in astratto possibile che la Corte costituzionale sia chiamata da singoli parlamentari ad accertare la sussistenza di manifeste lesioni delle loro prerogative nel procedimento legislativo, benché all’apertura iniziale non sia stato dato alcun seguito (tutti i conflitti sollevati sono stati finora dichiarati inammissibili).
Appare tuttavia significativo che una tale apertura sia stata espressa in astratto proprio in un giudizio promosso da parlamentari che lamentavano di non aver potuto partecipare ai lavori camerali di approvazione della legge di bilancio; altrettanto singolare è che la decisione che più sembra precludere tale possibilità ancora da un conflitto promosso durante l’approvazione della legge di bilancio (ordinanza n. 60 del 2020, che ancora una volta dichiara il conflitto inammissibile). In tale seconda occasione quasi prendendo atto di una conseguenza ineluttabile, la Corte afferma, tra l’altro, che «le procedure legislative, finalizzate originariamente alla valorizzazione del contraddittorio, col passare degli anni hanno dovuto altresì farsi carico dell’efficienza e tempestività delle decisioni parlamentari, primieramente in materia economica e di bilancio, in ragione di fini, essi stessi desunti dalla Costituzione ovvero imposti dai vincoli europei, che hanno portato a un necessario bilanciamento con le ragioni del contraddittorio» e, addirittura, che «in nessun caso sarebbe sindacabile da questa Corte la questione di fiducia ai fini dell’approvazione senza emendamenti di un disegno di legge in seconda lettura».
È come se, forse con un eccesso di realismo, la Corte si fosse avveduta che le procedure parlamentari di approvazione del bilancio attualmente seguite potenzialmente violano disposizioni regolamentari che ridondano su prerogative parlamentari (si riferisce, infatti, a «indubbie deformazioni e dilatazioni rispetto alle prassi applicative iniziali con aspetti non privi di criticità»), ma che in atto non vi è spazio per una decisione di merito, tale è l’importanza che la legge sia approvata nei termini e non sia più messa in discussione. Anche sotto il profilo dei controlli di legittimità costituzionale, dunque, pende l’“ombra lunga” dei vincoli procedurali europei e della tempistica di approvazione.
In quarto e ultimo luogo, l’assetto delle fonti.
Le degenerazioni in atto nelle procedure di bilancio mettono in rilievo una sorta di “fuga” dalla legge parlamentare che investe gli interi processi di produzione normativa. Il disegno di legge di bilancio e i disegni di legge di conversione dei decreti-legge sono gli unici a tempi di esame costituzionalmente garantiti e, dunque, in essi si riversano tutte le iniziative emendative dei singoli e dei gruppi parlamentari. La questione è poi complicata dalla prassi di non rispettare il contenuto proprio della legge di bilancio, avvalorando una sostanziale fungibilità tra i suoi contenuti e quelli dei decreti-legge di governo dell’economia e dei conti pubblici che “accompagnano” la manovra dalle caratteristiche intersettoriali, funzionalmente accomunati dal solo obiettivo di contenere la spesa pubblica (decreti-legge in materia fiscale e/o decreti-legge “proroga termini”). Tutto ciò limita progressivamente, fino a precludere, l’apporto sistematico ed organico dei singoli parlamentari e del Parlamento alla decisione di bilancio.
In tale quadro, occorre invece ribadire il valore delle norme costituzionali sulle fonti, a partire dall’art. 81 Cost., in quanto rivolte ad assicurare la distinzione di ruoli tra Governo e Parlamento nei processi di produzione normativa, ripristinando il necessario controllo parlamentare sull’individuazione delle priorità allocative e sulle scelte di finanziamento dei diritti. Quali interventi sarebbero indispensabili o opportuni – a livello regolamentare o persino costituzionale – per agire in tale direzione?