di Chiara Bergonzini
La lettera di Francesca Biondi e Claudio Panzera riporta l’attenzione su una situazione ormai tanto plateale quanto grave, e – almeno per chi segue da quasi tre lustri le questioni di bilancio – suona come un invito alla comunità scientifica a perseverare nella denuncia di un reiterato vulnus istituzionale. In sintesi, e con la consapevolezza di parafrasare con una certa brutalità le osservazioni dei due Autori: il cuore di quella che dovrebbe essere la decisione politica (e democratica) per eccellenza – che, attraverso il bilancio inteso come “bene pubblico” (Corte cost., n. 184/2016), è funzionale a garantire i diritti (nessun pasto è gratis, dicono gli economisti), la tenuta del tessuto sociale, il ruolo che l’Italia può giocare in un contesto europeo e globale in fulminea trasformazione, e addirittura, in ultima analisi, la sopravvivenza del sistema, almeno come immaginato dai Costituenti – è ridotto a una parvenzadi procedimento tecnicamente aberrante e, ancor prima, logicamente insensata. E, per di più, pervasiva: è pacificamente riconosciuto che le sessioni di bilancio rappresentano il laboratorio dove sperimentare soluzioni sempre più lontane dal testo costituzionale, poi esportate nell’attività ordinaria.
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