di Augusto Cerri
La rielezione del Presidente Mattarella ha consentito di superare una non facile “empasse” costituzionale, come la rielezione del Presidente Napolitano apparve provvidenziale sotto il medesimo punto di vista. In entrambi i casi si è trattato di una utilizzazione al meglio di personalità di altissimo profilo non facilmente sostituibili al vertice delle istituzioni, forzando una loro riluttanza iniziale.
Questo si premette per significare che una soluzione drastica, come quella di abolire il “semestre bianco” e, al contempo, di abolire la rieleggibilità del Presidente in carica non è facilmente praticabile, perché in realtà le istituzioni possono aver bisogno o possono giovarsi di personalità di sperimentata esperienza e di affidabilità non facilmente surrogabile. Il trascorrere del tempo può, d’altra parte, rendere agevole lo scioglimento di nodi politico-istituzionali che, in un certo momento, sembravano insuperabili. Quando il Presidente Napolitano segnalò nuovamente il Suo intento di cessare dall’incarico, il nodo, che in origine sembrava inestricabile, con una relativa facilità venne sciolto, ad es., in favore del Presidente Mattarella che, intanto, aveva maturato una feconda esperienza nella Corte costituzionale. Fatto sta che il Presidente della Repubblica, nonostante i suoi poteri non certo di indirizzo politico ma di “controllo attivo” (per così dire), è un nerve center del sistema istituzionale e la sua elezione ha rappresentato da sempre un punto di estrema delicatezza che richiede cautele in eventuali revisioni costituzionali. Il fatto che, in tempi recenti, non si siano più ripetute le “maratone elettorali” talvolta venute in essere nel corso della “prima Repubblica”, può segnalare una maggiore consapevolezza delle forze politiche, ma non esclude la delicatezza dello snodo istituzionale.
La nostra è una “repubblica parlamentare” e tale deve rimanere, a mio sommesso avviso, evitando riforme o revisioni che sono estranee alla sua storia: anche quella di una elezione di un “presidente di garanzia”, nell’ambito del sistema parlamentare, sull’esempio austriaco o portoghese. Da noi potrebbe non esser facile accettare i limiti di questo ruolo dopo una legittimazione elettorale autonoma. Un conflitto di legittimazioni, d’altra parte, potrebbe essere esiziale per la salute del sistema. Né mi auguro un sistema presidenziale o semipresidenziale che questo conflitto, in qualche modo, istituzionalizza e regola, perché comporta o può comportare pur sempre una duplicità e concorrenza di legittimazioni e, in conseguenza, problemi non facili di efficiente ed efficace esercizio delle funzioni. Un Presidente senza maggioranza parlamentare o ipotesi di “coabitazione” fra Presidente della Repubblica e Presidente del Consiglio diversamente orientati sul terreno politico sono esempi tipici di “sofferenza” di un sistema, che, altrimenti, può esprimere in modo più diretto e coerente un indirizzo politico. È luogo comune del diritto comparato, ad es., che un leader inglese, appoggiato da una solida maggioranza, è assai più potente di un Presidente americano: ogni sistema ha i suoi equilibri ed il sistema di check and balances degli Stati Uniti d’America è stato creato, nonostante le apparenze, proprio per evitare eccessive concentrazioni di potere o stato visto, più di recente, come filtro utile a lasciar passare solo riforme utili e largamene condivise. Il nostro paese segue vie diverse di ampi consensi, né sussistono esigenze di creare un centro forte di unificazione di vasti territori, dotati di ampi poteri di autogoverno, come può essere in USA.
Veniamo, allora, al terreno delle “riforme possibili”. Per quanto detto all’inizio, sembra da escludere una drastica regola di non rieleggibilità, unita all’abolizione del “semestre bianco”. In primo luogo, sembra, invece, utile fare un pensierino sulla “supplenza” del Presidente ove il tempo della rielezione ecceda i limiti del mandato. Si discute in dottrina se debbano intendersi estesi in prorogatio i poteri del Presidente uscente o debba ipotizzarsi una “supplenza” del Presidente del Senato. Nelle mie “Istituzioni” ho mostrato una qualche preferenza per questa seconda soluzione, che consentirebbe, forse, di superare, lo scoglio del divieto di scioglimento delle Camere, riferibile al Presidente uscente. L’ipotesi, d’altra parte, di un superamento dei limiti di tempo del mandato segnala un qualche nodo difficile da sciogliere, cui potrebbe giovare una Presidenza nel pieno dei suoi poteri. Si è obbiettato che è difficile immaginare un supplente dotato di poteri più ampi di chi deve essere “supplito”. In astratto ciò è vero, ma si tratterebbe, nel caso, di supplenza di tipo particolare, non della persona, ormai cessata dall’incarico, ma di assunzione, a titolo vicario, di funzioni altrimenti inerti o bloccate. Non sarebbe dannosa, a mio sommesso avviso, una riflessione collettiva delle forze politiche su questo “punto morto”, sia per introdurre una disposizione esplicita nel testo costituzionale od anche solo per considerare il ruolo del Presidente del Senato nel sistema complessivo, figura questa già ora di altissimo rilievo, che finirebbe con l’acquisire un ruolo ancora più decisivo nell’ipotesi considerata.
In secondo luogo, posto, dunque, che il Presidente della Repubblica deve essere rieleggibile, può divenire un problema la mancata rielezione, quasi un non adeguato apprezzamento di funzioni svolte in modo esemplare; e, per converso, può divenire un problema anche una serie di rielezioni quasi automatica che trasformi un organo temporaneo in un organo vitalizio. Ecco, il circolo vizioso. A mio sommesso avviso, potrebbe giovare una revisione costituzionale che spostasse in avanti l’età minima di capacità elettorale passiva per questa altissima funzione, in coerenza, del resto, con il naturale allungamento della vita media delle persone.
Tutto qui: forse è poco ma, forse, è abbastanza utile.