di Irene Pellizzone
Come è stato da più parti già sottolineato, la rielezione del Presidente Mattarella costituisce manifestazione del fallimento dei leader dei partiti politici e si inserisce in una crisi dei partiti divenuta, come noto, cronica. Tale fallimento non coinvolge però il Parlamento in seduta comune, che, invece, ha dato buona prova.
Si è coagulata infatti al suo interno un’ampia maggioranza (la seconda, nella storia repubblicana, dopo quella che ha condotto all’elezione del presidente Pertini), entro tempi in media con le precedenti elezioni (8 scrutini). La rielezione ha, inoltre, consegnato al paese un Presidente espressione della scelta di tutti i gruppi parlamentari, con l’eccezione di Fratelli d’Italia, evitando la crisi di governo ed il rischio di uno scioglimento anticipato.
Non si è trattato però di un risultato semplice da ottenere, in presenza di un Governo sostenuto da un così ampio arco di forze politiche e in un momento di crisi sanitaria, sociale ed economica ancora acuta. Infatti, da un lato, una convergenza politica più esigua di quella espressasi a favore dell’Esecutivo avrebbe esposto al pericolo di spaccature nella maggioranza di Governo, con possibili ricadute sulla tenuta di quest’ultimo e sulla durata della legislatura. Per evitare questo rischio, si rendeva necessario investire una figura capace di intercettare consensi davvero trasversali, mettendo al riparo il Parlamento da elezioni anticipate. Dall’altro lato, però, paradossalmente, l’ampiezza dell’arco politico a sostegno del Governo ha aumentato, anziché diminuire, il coefficiente di difficoltà dell’elezione presidenziale.
La scelta è così ricaduta sul Presidente uscente, che, già dal terzo scrutinio, grazie all’autorevolezza acquisita nel settennato appena concluso, aveva raccolto un numero significativo di voti, dimostrando di incarnare una soluzione realmente contemplata da diversi elettori. A dare linearità al cammino imboccato e a contenere l’elezione in una tempistica ragionevole sono stati certamente, da un lato, il timore di un anticipato ritorno alle urne e l’esigenza di continuità del Governo, e, dall’altro, l’alta considerazione verso il Capo dello Stato. L’impiego del mandato immediatamente svolto al Quirinale in chiave di rassicurazione e garanzia da parte delle forze politiche ha dunque concorso a favorire la soluzione della rielezione.
La scelta della rielezione come antidoto alla crisi viene evidenziata dal neo eletto Capo dello Stato, che, nel messaggio tenuto alle Camere in occasione del suo secondo giuramento, fa esplicitamente riferimento alla consapevolezza del Parlamento di evitare di mettere a repentaglio le “risorse decisive” e le “prospettive di rilancio del Paese impegnato a uscire da una condizione di gravi difficoltà”. Sempre nel giuramento, la medesima consapevolezza è posta dal Presidente appena rieletto alla base dell’accettazione del suo nuovo mandato e dell’impegno con esso assunto, in un momento altamente critico per la tenuta del tessuto sociale del paese, mentre nessuna allusione è fatta alla inopportunità di una seconda elezione, stigmatizzata in altre occasioni dallo stesso Mattarella.
Le preoccupazioni derivanti dall’investitura, per quattrodici anni, della stessa persona nella carica monocratica di vertice dell’ordinamento, la quale ha visto per di più progressivamente espandersi in via di prassi il raggio d’azione riservato e pubblico dei suoi poteri, cede dunque il passo alle contingenti esigenze di stabilità dell’esecutivo.
Ciò fermo restando, si è ben consapevoli che la rielezione del Presidente Mattarella non costituisce una rottura della Costituzione, perché il testo costituzionale, per una lungimirante scelta di flessibilità dei Costituenti, non contiene un divieto di rielezione, come accade invece per i giudici costituzionali ed i membri laici del Consiglio Superiore della Magistratura. Anche se la previsione del semestre bianco depone indubbiamente in questo senso, non pare del tutto assorbente l’obiezione che riduce il divieto di scioglimento a fine mandato ad un mero affievolimento del potere presidenziale di dettare la fine della legislatura. Si è altresì consapevoli che la proposta di elezione del Presidente uscente non costituisce una novità nemmeno nella prassi.
Tuttavia, la effettiva opzione per un secondo mandato presidenziale, in due occasioni una consecutiva all’altra, apre un interrogativo sulle votazioni presidenziali a venire.
Si ritiene necessario mettere a fuoco, più in particolare, l’impatto del consolidamento della prassi della rielezione sulle future elezioni presidenziali. Il duplice ricorso alla rielezione non significa certo che la contingenza a favore del Presidente al termine del suo primo mandato si ripresenterà. Ciononostante, si è certamente rafforzata la consapevolezza tra le forze politiche della percorribilità della seconda elezione e dei suoi eventuali aspetti positivi, o, se possibile usare questo termine, della sua “comodità”.
Il fatto che, in occasione della designazione per il suo primo mandato, il Capo dello Stato possa essere individuato anche in funzione della sua rielezione, rappresenta allora una variabile che potrebbe fungere, in futuro, da fattore di aggravamento della complessità politica delle elezioni presidenziali.
Leopoldo Elia, nella voce dell’Enciclopedia del diritto in tema di forme di governo del 1970, già affermava che “l'elezione del Capo dello Stato rappresenta nella nostra Repubblica il momento della massima dislocazione e dissociazione delle forze politiche”. Da notare che Elia non attribuiva questo fenomeno tanto all’enlargment of functions presidenziale, quanto alla stabilità della carica, che, per la sua durata, rappresentava quella “fuga dal precario” capace di “compensare le frustrazioni di una leadership mancata o sempre insidiata in sede di partito e di Governo” ed era per questo particolarmente contesa.
Col passare degli anni e, da ultimo, con la consacrazione in due casi consecutivi della rielezione, le cose si sono rese ulteriormente complesse. All’attrattiva della “fuga dal precario”, mai venuta meno, si somma, a seguito della crisi dei partiti tradizionali e dell’avvento della fase partitica dell’incerto bipolarismo, anche una maggiore contezza presso i partiti dell’enlargment of functions presidenziali, che, come accennato, hanno visto incrementare il loro peso specifico in via riservata ed in pubblico. Si è dunque innalzata ulteriormente la posta in gioco della carica del Quirinale. Non è un caso che, sebbene ritengano accettabile che un soggetto estraneo al circuito partitico possa svolgere la carica di Presidente del Consiglio, i partiti abbiano dimostrato, proprio in questa occasione, di guardare con esplicito sfavore ad un tecnico al colle.
A ciò si aggiungano le consapevoli aspettative che, ora, la rinnovabilità di una carica settennale potrà alimentare. In previsione di una competitività e di una lotta ancora più accese per il Quirinale, qualcuno guarda all’introduzione di candidature formali da parte dei partiti. Esse, è vero, potrebbero dare ordine e trasparenza alle disponibilità dei soggetti candidati, nonché formalizzare l’ipotesi di un secondo mandato, ma potrebbero anche irrigidire tempi e modi delle votazioni, ostacolando l’affacciarsi di accordi imprevisti e favorendo all’opposto una esplicita politicizzazione dei concorrenti, che verosimilmente sarebbero chiamati ad indicare le rispettive linee programmatiche. Si ridurrebbero così gli spazi di adattamento a contesti e soluzioni inizialmente imprevedibili, ma funzionali alla scelta di un soggetto la cui personalità sia garanzia di imparzialità, le quali, come dimostrato da ultimo col Matterella-bis, devono essere testate in modo cauto durante gli scrutini.
Al di là di ciò, si può discutere se la scelta della strada più “comoda”, se è lecito usare questo termine, ovvero la rielezione di Mattarella, sia stata o meno espressione di “saggezza” del Parlamento. L’aspetto su cui si intende richiamare l’attenzione non è legato a questo, bensì allo sviluppo delle alleanze politiche nelle future elezioni presidenziali: occorrerà osservare se la rinnovabilità del mandato spingerà i partiti a concepire il ruolo di Capo dello Stato in un nuovo modo, conformandone ab origine la scelta, tra gli altri, al criterio della rieleggibilità.