di Fabrizio Politi
Le recenti festività hanno riproposto – quale “classico” del palinsesto televisivo natalizie – un divertente film del 1983 (“Trading places”, tradotto in “Una poltrona per due”). Di tale film ho sempre particolarmente apprezzato la modalità di costruzione dell’incipit: le immagini iniziali – su cui scorrono i titoli di testa – accompagnate dalla formidabile ouverture de Le nozze di Figaro di Mozart, hanno la capacità di delimitare, in pochi minuti, il teatro della vicenda, in quanto tutte esplicitamente basate sulla contrapposizione fra il dorato mondo dei ricchi (in particolare di chi vive – e “guadagna sempre”, come dice uno dei Mortimer a Valentine – nel mondo della finanza) e la triste realtà dei senzatetto o comunque delle classi sociali in difficoltà (dalle file per il sussidio di disoccupazione a quelle per la ricerca di un lavoro) e la contrapposizione è giocata anche con riguardo ai rispettivi luoghi di aggregazione (da un lato i ricchi club del tennis o del golf e dall'altro lato parchi pubblici, piazze, strade in cui vengono accesi fuochi di fortuna per riscaldarsi dal freddo dell’inverno). E fra tali mondi avviene una surreale sliding door fra Dan Aykroyd (Louis Winthorpe III) e Eddie Murphie (Billy Ray Valentine).
Queste immagini – forse perché stimolato dalle domestiche riflessioni concernenti i preannunciati interventi legislativi sul reddito di cittadinanza, le difficoltà per le famiglie conseguenti agli elevati costi dell’energia e le risposte da dare ai fenomeni migratori – mi hanno fatto tornare in mente un passaggio del volume di Stephen Holmes e Cass R. Sunstein (The Costs of Rights. Why Liberty Depends on Taxes, New York 1999, trad. it. Il costo dei diritti. Perché la libertà dipende dalle tasse, Bologna 2000) laddove gli autori si interrogano sul perché i poveri debbano accettare le regole dei ricchi (e, non a caso, nel film è la polizia a tutelare il dorato mondo dei ricchi!). Tale domanda può essere declinata anche sul quantum di disuguaglianza che un ordinamento democratico può accettare di sopportare e conduce ad interrogarsi sul ruolo dello Stato di fronte alle diseguaglianze.
Si ripropongono così le numerose questioni legate al significato della tutela dei diritti sociali in un ordinamento di democrazia rappresentativa. A questo proposito, la Costituzione repubblicana pone principi chiari: la tutela dei diritti inviolabili, il riconoscimento della pari dignità sociale, il principio di eguaglianza sostanziale (quale “compito” della Repubblica di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che … impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese”), il diritto al lavoro e ad una retribuzione che assicuri una vita dignitosa al lavoratore e alla di lui famiglia, il diritto all’istruzione e alla salute.
Le disposizioni costituzionali segnano nettamente il perimetro di un ordinamento fondato sulla tutela della persona ed in cui ad ognuno deve essere riconosciuta la chance di costruire il “proprio progetto di vita”. Sempre illuminanti le parole pronunciate da Aldo Moro in occasione della discussione dei principi generali della Carta: “noi vogliamo costruire uno Stato dal volto umano … uno Stato umano”. Il richiamo al “volto” (che tanto peso ha nelle sacre scritture e che avrà anche nel Concilio Vaticano II) ci impone di ricordare che anche in ogni riflessione giuridica i destinatari di norme (e dunque di diritti, obblighi e vincoli) sono persone in carne ed ossa, ognuno con il proprio “volto”, su cui sono iscritte le sofferenze di ogni singola esistenza.
La tutela dei diritti (ed in particolare dei diritti sociali), nei 75 anni di vita repubblicana, ha segnato (sia pure fra luci ed ombre) indubbi progressi e fondamentale è stato il ruolo della Costituzione, alla cui attuazione hanno contribuito tutti gli attori dell’ordinamento: il legislatore, l’amministrazione e la giurisdizione (sia comune che costituzionale). L'attuazione dei diritti sociali si è sempre scontrata con le esigenze di bilancio ponendo il problema del “costo dei diritti”. Holmes e Sunstein hanno dimostrato la fallacia della distinzione tra le c.d. “libertà negative” e le c.d. “libertà positive” se basata su un’asserita differenza del “costo” delle stesse (nel senso che le prime – a differenza delle seconde - non peserebbero sulle casse pubbliche), giacché tutti i diritti “costano”. Ma va ricordato che nel 1964 Mazziotti (nella magistrale voce “Diritti sociali” nell’Enciclopedia del diritto) già rilevava tale condizione. La scelta allora è quella relativa alla allocazione delle risorse e prima ancora quella relativa al “come” acquisire le risorse (cioè la decisione sul “cosa” e sul “quanto” tassare). La realizzazione delle politiche pubbliche richiede sempre risorse e, a questo proposito, la Costituzione proclama il principio che “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”.
I diritti sociali, grazie alla loro funzione di integrazione, vengono a porsi, oltre che come strumento di tutela e di sviluppo della persona, come mezzo di realizzazione del principio democratico, giacché la rimozione degli ostacoli “di ordine economico e sociale” consente di realizzare la “effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica … del Paese” e quindi assicura una crescita del tasso di democraticità dell’ordinamento. Deve pertanto affermarsi che l'ordine democratico rappresentativo necessita di un'adeguata tutela dei diritti sociali in quanto strumenti di integrazione nella (e di partecipazione alla) vita democratica (e – per rispondere alla domanda di Holmes e Sunstein – solo così i poveri possono accettare le regole della convivenza). Le esperienze storiche e di diritto comparato dimostrano che i diritti sono potenti fattori di integrazione e di responsabilizzazione. I diritti sociali quali fattori di integrazione - secondo l’insegnamento della Integrationslehre - vengono pertanto ad operare quali decisivi strumenti di realizzazione - e di effettività - del principio democratico giacché assicurano la effettiva partecipazione di ogni lavoratore alla vita economica sociale e politica. In questa prospettiva, la tutela dei diritti sociali si stacca dalla dimensione di tutela del singolo per diventare strumento conformativo dell’ordinamento democratico.
Va inoltre rilevato che il riconoscimento che la tutela effettiva dei diritti dipende dalle risorse disponibili - ovvero dal bilancio e quindi dal volume delle tasse raccolte - mette in rilievo il ruolo delle scelte politiche e dunque del legislatore. Si afferma, per questa strada, una rivalutazione (ed anche un rilancio) del ruolo delle sedi politiche quale luogo privilegiato delle decisioni relative ai fini generali. Pertanto, la vera sfida è quella di avere la capacità di attivare percorsi virtuosi in cui, nell’economia di mercato, si sappiano inserire correttivi di equità e giustizia sociale che, oltre ad assicurare una eguaglianza di chance, possano funzionare come fattori di mobilità sociale (il che – e la storia lo dimostra – diventa un fattore di arricchimento delle economie e della vita pubblica, altrimenti condannate ad essere soggiogate da sempre più asfittiche classi dirigenti rinchiuse in se stesse; e le dinamiche che registriamo in questi ultimi anni in alcuni Paesi, anche di antiche tradizioni democratiche, depongono chiaramente in tale senso).
Altrimenti ci si deve arrendere alla dimensione (pseudo) competitiva di “Una poltrona per due” che viene così a svelare il suo volto cinico: il cinismo dei cugini Mortimer, il cinismo di un mondo costruito su due livelli (livelli di fatto incomunicabili – e per questo è corretto parlare di “pseudo-competizione” – in cui l’accesso al livello superiore può essere consentito solo da un “biglietto vincente della lotteria”), il cinismo di un mondo condannato a rimanere diviso fra ricchi e poveri (i protagonisti positivi, dopo essersi arricchiti speculando in borsa, vanno a godersi la vita in un’isola tropicale), il cinismo dell’idea dell’arricchimento e della sopraffazione.