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di Francesco Gabriele

Per quanto sicuramente verosimili, gli esempi “cinematografici” richiamati (specialmente nell’ottima e completa sintesi di Politi) non sembrano, tuttavia, generalizzabili oltre un certo limite. Altri, infatti, potrebbero rinvenirsene nella realtà di tutti i giorni, e non da ora, di soggetti inizialmente “deboli” ai quali, invece, l’acquisita possibilità dell’esercizio di almeno alcuni diritti sociali (per es., quello allo studio fino ai gradi più alti) ha consentito “anche” promozione e riscatto (sociali). Ciò non toglie, però, che le origini familiari e sociali possano limitare, e, spesso, limitino gli effetti che al loro concreto esercizio dovrebbero  accompagnarsi se, invece, le condizioni generali dell’ambiente sono “ostili” e la “mobilità” di fatto impedita. Sono, insomma, necessari, ma non sufficienti perché “altre” origini familiari e sociali possono, di fatto, ugualmente riuscire a (continuare a) ostacolare e/o a prevaricare e a “conservare” (il discorso può, peraltro, farsi complesso molto dipendendo anche dalle doti personali).

di Andrea Guazzarotti

1.

La lettera di Fabrizio Politi coglie assai efficacemente il proprium dei diritti sociali, quali fattori indispensabili di realizzazione del principio democratico. Anche la suggestione del ricorso alle immagini cinematografiche ben coglie un altro aspetto fondamentale, ma spesso sottaciuto, del costituzionalismo democratico-sociale, quello della costruzione del soggetto, di cui i media e la produzione culturale sono vettori fondamentali. La domanda da cui partire, in tale prospettiva, è: quale immagine di cittadino propone la Costituzione repubblicana e quali strumenti essa prefigura per la sua produzione e riproduzione?

di Quirino Camerlengo

1. A proposito di film.

In una delle ultime scene di Mary per sempre, film del 1989 diretto da Marco Risi, nel rivelare al suo insegnante, magistralmente interpretato da Michele Placido, la propria intenzione di evadere dal carcere minorile in cui si trovava recluso, Pietro Giancona (un bravo Claudio Amendola) sintetizza la propria esistenza, gravata da un destino ineluttabile (o che almeno percepisce essere tale, essendo un ragazzo “tinto”), in un celebre detto: «cu nasci tunnu, nun pò morriri quadratu».

di Fabrizio Politi

Le recenti festività hanno riproposto – quale “classico” del palinsesto televisivo natalizie – un divertente film del 1983 (“Trading places”, tradotto in “Una poltrona per due”). Di tale film ho sempre particolarmente apprezzato la modalità di costruzione dell’incipit: le immagini iniziali – su cui scorrono i titoli di testa – accompagnate dalla formidabile ouverture de Le nozze di Figaro di Mozart, hanno la capacità di delimitare, in pochi minuti, il teatro della vicenda, in quanto tutte esplicitamente basate sulla contrapposizione fra il dorato mondo dei ricchi (in particolare di chi vive – e “guadagna sempre”, come dice uno dei Mortimer a Valentine – nel mondo della finanza) e la triste realtà dei senzatetto o comunque delle classi sociali in difficoltà (dalle file per il sussidio di disoccupazione a quelle per la ricerca di un lavoro) e la contrapposizione è giocata anche con riguardo ai rispettivi luoghi di aggregazione (da un lato i ricchi club del tennis o del golf e dall'altro lato parchi pubblici, piazze, strade in cui vengono accesi fuochi di fortuna per riscaldarsi dal freddo dell’inverno). E fra tali mondi avviene una surreale sliding door fra Dan Aykroyd (Louis Winthorpe III) e Eddie Murphie (Billy Ray Valentine).

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